sabato 15 gennaio 2022

“ Quale vaccino per la salute mentale?" Alcune ( modeste) osservazioni sulla destinazione di una parte del Budget , in conclusione del vertice mondiale sulla salute mentale di Parigi 2021 e in concomitanza alla presentazione del "Manifesto per la salute mentale "

La salute mentale, diversamente da altri comparti della medicina e della salute pubblica in generale, non richiede ingenti e sofisticate risorse strumentali. Oggi, la scelta di destinare delle risorse in specifici ambiti, piuttosto che in altri, ovviamente nel campo della salute mentale, fa notevolmente la differenza; Pensare esclusivamente in termini di organizzazione, strategie aziendali e o protocolli attuativi, può diventare un problema serio, sia per coloro che ricevono prestazioni sia per coloro che le erogano, se non valutato ( l’intero impianto) con attenzione e, prima di tutto, se non è doverosamente ancorato al bagaglio di esperienze e conoscenze teoriche, tecniche e cliniche acquisite fino ad ora ( da più di un centinaio d’anni ); Altresì, se non attentamente valutato ( interrogandosi spietatamente !!) in che modo un tipo di organizzazione è al servizio del paziente e non esclusivamente a favore ( in modo difensivo ) dello stesso Istituto. I noti avvenimenti di cronaca, che coinvolgono oramai spesso le istituzioni e le strutture sanitarie, dovrebbero indurre gli addetti ai lavori a volgere uno sguardo al passato - che non va negato in nome di un fantomatico e idealizzato futuro "iper scientifico" - dove non è relegato soltanto l’impietosa e lunga stagione manicomiale, ma dove si può attingere ad un ricco patrimonio fatto di notevoli contributi scientifici che attendono di essere sapientemente utilizzati. Faccio notare che, sebbene esista una vasta letteratura circa il rapporto tra ‘istituzione e salute mentale’, a partire dagli anni ‘70 , ( si legga per es. (1971). Rivista Psicoanal., (17)(1):67-81 "Approccio semeiologico all'istituzione psichiatrica" di Dario De Martis and Fausto Petrella ) capace di gettare un po’ di luce sull’ intrigante, articolato e poderoso complesso funzionamento mentale gruppale ( o di un organizzazione), non si sfrutta adeguatamente e ci si adagia all’uso di "modalità strategiche" spesso rassicuranti , però, disumanizzanti . Invece, essa se tradotta in prassi potrebbe fornire l’arma per fare una seria prevenzione ai conflitti, alle forti e gravi tensioni, che spesso si trasformano in atti di violenza, in una comunità , in reparti ospedalieri per pazienti psichiatrici etc! Ci si accorge, soltanto in queste occasioni, che i protocolli standard, le strategie superficialmente adottate, solo apparentemente tranquillizzanti, evaporano, perdendo dunque di consistenza, lasciando sgomento e miseria. Quando capita ciò, la domanda da porsi non dovrebbe essere : " ma cosa non ha funzionato da un vertice organizzativo …? Oppure " ma quale protocollo non è stato osservato? Ma, invece: "cosa è successo nella mente dell’ operatore sanitario o più di uno ( un gruppo) da spingere a perdere la necessaria sensibilità ricreando, inconsapevolmente e progressivamente, tutte quelle condizioni che hanno riprodotto un clima manicomiale?" Malgrado l’imperante necessità di affrontare la questione da un vertice psichico e soprattutto in una cornice interpersonale e intersoggettiva, la spiegazione di questi fenomeni, tuttavia, glissa e prende la stessa comune piega, ubbidendo ad uno " schema pre-stabilito", mostrandosi, e venendo accolta, per ciò che sembra ma non per ciò che è . Di solito (leggo) questi problemi sono attribuibili o riconducibili alla mancanza di fondi, ad aspetti di natura organizzativa ed altro. Può anche darsi che i motivi sono questi, ma, a mio avviso, ci andrei molto cauto ad attribuire tutto a questo ! Si trascura un elemento fondamentale ( che desidero mettere in risalto e suggerire ) che dovrebbe essere preso in seria considerazione, che potrebbe fare la differenza tra un buono e/o un cattivo funzionamento dell’istituzioni sanitarie che si occupano della salute mentale: la formazione dell’operatore sanitario. Gran parte del budget dovrebbe essere destinato soprattutto a quest’ambito. Una formazione assai diversa da quelle che notoriamente vengono , però, offerte e svolte. Parlo di un tipo di formazione ancora di "nicchia" per pochi perché ritenuta poco o per nulla importante dalle istituzioni ( tralascio altre motivazioni che risiedono a livelli più profondi) . Una formazione che ha come obiettivo la tutela della salute mentale dell’operatore sanitario e contemporaneamente dell’ assistito. Vengo al punto. Purtroppo, è ancora poco riconosciuto il ruolo fondamentale di un' analisi personale ( individuale e/o di gruppo). È ancora troppo ignorato che durante la relazione con i pazienti psichiatrici molto gravi vengono necessariamente attivate angosce psicotiche; se non sono affrontate in modo esaustivo attraverso l'analisi personale, possono creare confusione e provocare un blocco nella relazione, oltre che gravi tensioni e addirittura il crollo dell’ operatore sanitario . Questo tipo di paziente spesso proietta con violenza i propri sentimenti e problemi, e un operatore che tema tale contatto potrebbe a sua volta finire gravemente disturbato nel corso dei suoi tentativi di assisterlo. L'angoscia più frequente, anche se spesso inconscia, è quella di essere portato alla follia dal paziente. E per questo motivo che l' operatore deve sottoporsi a un'analisi personale particolarmente approfondita, il che ovviamente comporta la messa a nudo delle sue aree psicotiche, affinché le angosce e le difese psicotiche possano essere elaborate in misura sufficiente buona durante il periodo di formazione. Talvolta potrà rendersi necessaria anche una seconda analisi, una terza…. Se l’operatore ha conflitti psicotici scissi o repressi, pur sentendosi ottimamente a livello conscio, tenderà a essere insensibile o sulle difensive; inevitabilmente il paziente percepirà, consciamente o Inconsciamente, i disturbi presenti nell’operatore e reagirà di conseguenza o interagirà con essi. Esiste inoltre il pericolo che il contatto con pazienti gravi stimoli e attivi il conflitto latente nell’operatore. Per esempio, le tendenze a svolgere una funzione onnipotente e onnisciente possono essere notevolmente esasperate sfociando in forme di violenza. Dobbiamo renderci conto che, nel trattare questi pazienti (ancor più di quanto avvenga normalmente con altre psicopatologie meno gravi ), i principali strumenti di lavoro sono la nostra personalità , e perciò la nostra salute mentale è un fattore di estrema importanza sulla quale necessariamente bisogna investire. Solo in questo modo si può reagire al paziente con empatia, ma senza lasciarci coinvolgere eccessivamente, e mostrarsi sensibili, ricettivi, ma senza essere sopraffatti dalla sua proiezione. È fondamentale considerare ( aldilà dei diversi orientamenti e modelli di riferimento o delle diverse posizioni teoriche e, a volte, ideologiche ) l’analisi personale come una forma di protezione contro quegli " impetuosi, silenti e catastrofici movimenti emozionali " al pari ( considerato da un vertice biologico) della vaccinazione anti Covid alla quale tutti gli operatori sanitari devono sottoporsi per tutelare la propria e l’altrui salute fisica. Ultima nota. Se poi destinassimo grandissima parte del budget all’ infanzia, all’adolescenza e alla famiglia, mettendo in opera una massiccia capacità di prevenzione, potremmo addirittura evitare che una persona diventi un paziente psichiatrico , perché una delle psicopatologie più grave e severa , la psicosi, nasce proprio nella prima se non addirittura nella primissima infanzia. La destinazione delle risorse fa enormemente la differenza!

domenica 16 maggio 2021

“Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva Di Pasquale Califano*

“Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva Di Pasquale Califano* "Chi accoglie un beneficio con animo grato paga la prima rata del suo debito" (Lucio Anneo Seneca) 1.Breve introduzione In un'intervista rilasciata non molto tempo fa al Centro di psicoanalisi Romano, Otto Kernberg, psicoanalista e professore di psichiatria al Weill Cornell Medical College, alla domanda dell’intervistatore riguardo alle sorti della psicoanalisi risponde: ” [...] la psicoanalisi ha avuto un impatto culturale che rimarrà ma sparirà come scienza e sparirà come professione o piuttosto le tecniche psicoanalitiche che sono state sviluppate saranno assorbite da altri orientamenti . Già oggi i terapeuti cognitivo comportamentali utilizzano tecniche orientate psicoanaliticamente, al posto dell’interpretazione parlano di mindfulness , al posto del transfert parlano della relazione , ma c’è un lento assorbimento e i dati potrebbero essere che la natura centripeta della psicoanalisi potrebbe ritrovarsi più in ciò cui ha contribuito professionalmente ma sarebbe diluita e questo è un peccato perché la psicoanalisi ha un enorme concezione tecnica quindi anche pratica . Le conseguenze pratiche sono molto importanti . Ricopre un ruolo unico , è una scienza unica . Deve essere sviluppata, è emozionante e importante , ma abbiamo un grande obiettivo [….]” Aristide Ronconi, nel suo contributo edito su “ Psychiatry on line italia”, rivista diretta da Francesco Bollorino, dal titolo “COGNITIVISMO E PSICOANALISI” cita A. Roth e P. Fonagy, (1997): “Attualmente c'è una certa convergenza tra i clinici che hanno avuto una formazione psicoanalitica e quelli i cui interessi riguardano principalmente le tecniche cognitivo comportamentali. Mentre questi ultimi vanno sempre più interessandosi ai processi non coscienti e all'impatto della relazione terapeutica, gli psicoanalisti si interessano alla natura delle rappresentazioni della conoscenza e al significato di fattori cognitivi che potrebbero render conto del lento progresso in psicoterapia". In questo articolo, il dottor Tronconi, traccia sinteticamente gli sviluppi della psicologia cognitivista a partire dai suoi primi passi in italia intorno agli anni ‘70. Indica l’evoluzione di questo approccio che ha radici nel comportamentismo e tenderebbe inevitabilmente, a mio avviso, verso la psicoanalisi. Tronconi, parla di convergenze con la psicoanalisi, mentre pare più corretto considerare uno sbocco quasi naturale in essa, cosa che in questo breve lavoro cercherò di dimostrare, in linea con la “profetica visione“ di Otto Kernberg. (Cit.) S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990).“ Nel 1972 veniva fondata a Roma, con sede presso l'Istituto di clinica psichiatrica diretta dal Prof. G. Reda, la Società italiana di terapia del comportamento. Due anni dopo, nel 1974, in occasione del Congresso di Londra della European Association of Behavior Therapy, la Sitc era ammessa a questa prestigiosa associazione europea. In occasione del primo Congresso nazionale del giugno del 1981 venivano apportate una serie di modifiche allo statuto e la denominazione diventava quella attuale: Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva. Questo cambiamento nasceva dalla consapevolezza da parte di molti soci di un'evoluzione scientifica verso un approccio cognitivo [...] Così è nato il cognitivismo clinico in Italia: come un'evoluzione del comportamentismo”. Il dottor Tronconi, indica inoltre le motivazione di tale scelta, utilizzando le parole di chi ha vissuto quel periodo storico - alcuni dei quali fondatori della Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale (S.I.T.C.C.) - S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990) : ” Per quanto riguarda la nostra personale evoluzione, in una prima fase scientifica e clinica, i principi del corpus dottrinale della behavior therapy (Bandura 1969) sembravano soddisfare la dimensione metodologica che andavamo cercando, in quanto ci mettevano a disposizione metodi di osservazione e rilevazione dei dati clinici e di intervento terapeutico alternativi a quelli psicoanalitici o, in genere, a quelli tradizionalmente in uso negli ambienti accademici. Ci rivolgevamo all'individuo in termini di principi dell'apprendimento classico e operante, e consideravamo il comportamentismo umano alla stregua di un congegno di precisione regolato, passo dopo passo, dal gioco delle contingenze che le azioni acquistavano con l'ambiente circostante. Nonostante avessimo in breve tempo dei miglioramenti, ad un certo punto cominciammo ad avvertire uno spiacevole senso di discrepanza allorché tentavamo, usando la medesima impostazione teorica, di arrivare ad una spiegazione esauriente di quanto si era avuto modo di osservare durante la terapia. Inoltre, spesso, appariva chiaro che il miglioramento prodottosi era il risultato di atteggiamenti terapeutici non intenzionali o, comunque, non direttamente connessi con la strategia che si stava portando avanti; avevamo la sensazione di operare con modalità che non conoscevamo, su meccanismi cruciali del paziente che non eravamo in grado di descrivere. Mettendo a fuoco il nostro disagio dovuto alla discrepanza fra i risultati ottenuti e il limitato potere esplicativo dei principi dell'apprendimento, diventava sempre più chiaro che attività cognitive quali le aspettative, la memoria, il pensiero, ecc... dovevano svolgere un ruolo cruciale nel mediare la risposta comportamentale allo stimolo ambientale" Infine, sempre nel medesimo articolo, sono riportate le parole di B. Bara (1996) tratte dal “ secondo capitolo del Manuale di psicoterapia cognitiva, dedicato al terapeuta cognitivo”, e prospetta, l’inevitabile impostazione psicoanalitica nell’orientamento cognitivista "Considereremo come psicoterapia un'integrazione di cognizioni ed emozioni, rivolta all'obiettivo di raggiungere e mantenere un consapevole equilibrio dinamico, e ottenuta grazie alla relazione fra terapeuta e paziente[...]Gran parte del cambiamento interno consiste in quella che possiamo chiamare accettazione di sé, che ancora una volta coinvolge sia la sfera cognitiva che quella emotiva. Il paziente tende a vivere la parte di sé sofferente, o malata, come una sorta di orrore da dimenticare, o di nemico da eliminare, possibilmente in modo definitivo [...] Si tratta di riuscire a cogliere come ogni nostro aspetto ci appartenga, ogni nostro diverso Sé sia costitutivo della nostra persona, al di là della sua attuale adeguatezza[...] Un terapeuta troppo desideroso di guarire gli altri può penalizzare i pazienti che insistono nel loro star male, perché non migliorano in modo corrispondente ai suoi sforzi e alle sue aspettative. Così facendo li priva della possibilità di vivere un affetto incondizionato, esperienza di infinito valore umano che i figli sempre donano ai genitori, e i genitori solo talvolta concedono ai figli: ti amo al di là di quel che fai, solo per quel che sei. Per un paziente è prezioso sentire che il suo terapeuta non lo allontana, colpevolizzandosi e colpevolizzandolo, se la sua sofferenza perdura o peggiora, ma gli permette invece di essere com'è. Una buona psicoterapia comporta piena accettazione dell'altro nell'interezza della sua persona [...] Va sottolineato il fatto che l'organizzazione del paziente si è strutturata intorno a eventi in primo luogo emotivi, quali sono le condizioni di attaccamento-accudimento in cui si è trovato a vivere. Perché tali strutture emozionali profonde e antiche possano modificarsi, la persona deve trovarsi in una situazione di mobilizzazione emotiva[...] Un ragionevole livello di indefinitezza della figura del terapeuta permette al paziente di esprimere più compiutamente i propri schemi, sia quelli irrigiditi dalla nevrosi che quelli man mano più elastici della guarigione [...] Il paziente può così attribuire al terapeuta credenze ed emozioni caratteristiche di un ruolo usuale all'interno di un proprio gioco[...] Al paziente è quindi consentito essere aggressivo o seduttivo, ma il terapeuta non può mai lasciarsi andare a simili aperture emotive. Un eccellente strumento è ancora una volta l'interpretazione relazionale, che permette di non prendere alla lettera aggressioni o seduzioni, ma di rileggerle come aventi un altro significato, relativo ai ruoli giocati[...] C'è una fatica emotiva caratteristica, e consiste nell'entrare in relazione genuina con ciascun paziente, ogni volta esponendo se stesso a un contatto che si può rivelare improvvisamente doloroso[...] Una certa quantità di fatica psichica è comunque indissolubile dall'essere terapeuta: eliminandola si elimina la qualità profonda di una psicoterapia". Questi brevi stralci riportati sopra e le parole di Kernberg con ragionevole certezza indicano gli sviluppi o la via che la psicologia cognitiva ha intrapreso, facendone presagire, anche se in modo neppur tanto velato, che le operazioni di "assorbimento" siamo già in atto, che siano ancora più profonde e per lo più inconsce. La psicoanalisi pare che non riesca a sottrarsi, oggi più che mai, ad una condizione che definirei "Teodosiana". Teodosio II nel novembre del 435 comanda che, se c’è ancora un solo tempio pagano non distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana. Secondo alcune fonti storiche, la spesa costosissima per lo Stato che doveva pagare il trasporto e il lavoro di centinaia di operai impiegati per lo smantellamento degli edifici pagani, così come non era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi (templi, atri, abitazioni dei sacerdoti, boschetti sacri) senza trarne alcun beneficio pubblico, si decise dunque, che sarebbero stati adattati, con qualche ritocco architettonico, ad una nuova destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese per il nuovo culto cristiano, soltanto dopo, però, essere stati purificati e liberati da presenze demoniache. Tuttavia, ad un'analisi più approfondita, c'è da concludere che il culto cristiano aveva assorbito molti delle cerimonie pagane e quindi ne risultava solamente un'operazione di superficie. L'incipit teodosiano, indica la direzione di questo scritto che ha prevalentemente lo scopo di ristabilire la paternità di alcuni concetti teorici e clinici della psicoanalisi, soppiantati, anche un po' impropriamente ( e ancora non propriamente riconosciuti) da quelli cognitivisti. Svolgere un'opera di “svelamento”, attraverso un'operazione fenomenologica, rendendo visibile ‘un impianto metapsicologico' comune ad entrambi gli indirizzi, che dimostri che l'edificio della psicologia cognitiva è stato eretto sul "tempio" della psicoanalisi. Tuttavia, poiché, non è possibile in questa sede prendere in considerazione tutti i differenti approcci della psicologia cognitiva, che sono circa una ventina, mi limiterò a porre l'attenzione su uno di essi. È mia intenzione, pertanto, prima, tentare di descrivere succintamente e poi riflettere su un nucleo comune tanto alla psicoanalisi quanto alla psicologia cognitivo- evoluzionista, partendo proprio da quest’ultima, poiché è un orientamento che appare dotato di un forte potere integrativo rispetto alle diverse teorie – cognitiviste, relazionali, psicoanalitiche – della psicopatologia e della psicoterapia ( Bowlby, 1969; Edelman, 1992; Liotti, 1994), e più precisamente ponendo particolare attenzione su tre aspetti da me ritenuti cardine che costituiscono “l'ossatura o l’impianto comune” ( o struttura): 1. L’impianto che caratterizza la comunicazione: 2. L’impianto che media la relazione interpersonale e che caratterizza l’esperienza soggettiva; 3. L’impianto che consente lo sviluppo della mente. 2. Breve disamina della teoria cognitivo - evoluzionista: comunicazione, mediazione e sviluppo della mente La psicologia evoluzionista sviluppa le sue teorie tenendo conto di un presupposto fondamentale e cioè che la struttura essenziale della mente umana è un prodotto della natura, frutto di un lungo processo evolutivo. Da questo processo evolutivo, la mente umana ha sviluppato sia la capacità e forme basilari di relazione affettiva (Bowlby, 1969) sia la capacità e forme basilari di elaborazione cognitiva e linguistica della conoscenza ( Baron – Cohen, 1995). Tuttavia, la psicologia evoluzionista non afferma che la mente umana sia determinata da vie innate – poiché ciò la ingabbierebbe in modello medico – genetico - ma da disposizioni innate che consentono che essa sia modificabile dai processi di apprendimento. Alcune di queste disposizioni innate sono alla base di ogni relazione umana ( Liotti, 1994). Le forme fondamentali in base alle quali ogni relazione umana può costituirsi - inclusa quella terapeutica - sono state studiate dagli etologi attraverso l’osservazione comparata del comportamento sociale nelle più diverse specie animali e possono essere così elencate: Interazioni definite dalla richiesta – offerta di cura, protezione e conforto - (attaccamento – accadimento); Interazioni il cui fine è la definizione del rango sociale di dominanza o di sottomissione (interazioni competitive o agonistiche); Interazioni di corteggiamento e accoppiamento sessuale; Interazioni cooperative in vista del conseguimento di un obiettivo congiunto. Secondo il modello evoluzionista per ciascuna forma basilare di interazione esiste un sistema di regolazione o controllo, su base innata che organizza sia l’esperienza soggettiva sia il comportamento osservabile in rapporto ad una precisa meta relazionale. Essendo i sistemi di regolazione o controllo interpersonali equiparabili, per funzioni, a sistemi fisiologici – come ad esempio la pressione arteriosa, la temperatura corporea ecc.- è possibile identificare le condizioni che attivano e disattivano ciascun sistema e le varie fasi di tale attività, considerate in funzione delle vicissitudine della relazione. Quindi, facendo qualche esempio: a. il sistema di attaccamento è attivato da stati mentali di sofferenza, fatica e pericolo e cessa quando l’individuo consegue una vicinanza protettiva di un conspecifico (figura d’attaccamento) capace di fornire conforto e aiuto. Nelle varie fasi di questa attività, il sistema d’attaccamento genera ed organizza emozioni e condotte in funzione alle diverse modalità di interazioni: quando la figura di attaccamento si allontana o non risponde alla richiesta, il soggetto reagisce con protesta, collera, tristezza ed ansia di separazione; mentre quando c’è risposta, l’individuo reagisce con gioia e sicurezza attraverso il ricongiungimento ad essa per il conseguimento dell’obiettivo; b. Il sistema agonistico tende ad attivarsi di fronte ad una risorsa e ad un bene limitato ( ad esempio due fratelli che rivendicano attenzione dal genitore, percepita come una risorsa limitata) con segnali iniziali visibili come la postura aggressiva, l’ espressione mimiche minacciose, tanto da attivare nell’altro un sistema antagonista. Nelle varie fasi di attività si succedono diverse emozioni: collera, competitività, paura di essere danneggiati, vergogna ed umiliazione che si presentano durante l’emissione di segnali di resa, tristezza per la sconfitta o viceversa sentimento d’orgoglioso trionfo nel caso di una vittoria. Entrambi gli esempi mostrano un aspetto molto interessante e cioè un “incastro interagente strutturale”: all’operare di un sistema in un individuo si attiva lo stesso sistema nel soggetto interagente. In definitiva, si può constatare che i sistemi motivazionali interpersonali tendono, per ragione innate, a sintonizzarsi tra gli individui interagenti. Questa ipotesi risulta assai interessante sia da un punto di vista teorico -clinico sia perché essa è capace di accostarsi ad elementi comuni tra i diversi modelli teorici. Infatti, questo “incastro strutturale” corrisponde sia alle classiche operazioni di ricerca dell’empatia che trova conferma anche nell’ambito delle neuroscienze con i neuroni specchio, sia a quei fenomeni che nella letteratura psicoanalitica kleniana e bioniana sono descritti come aspetti dell’identificazione proiettiva. Oltre all’esistenza di sistemi motivazionale interpersonale, la psicologia cognitivo – evoluzionista introduce nelle sua architettura teorica un concetto mutuato dalla teoria dell’attaccamento: i modelli operativi interni. I modelli operativi interni o schemi cognitivi interpersonali sono costruiti da ciascun individuo nel corso di precedenti interazioni regolate dal sistema motivazionale interpersonale in quel momento attivo. Gli schemi cognitivi interpersonali derivanti dalle esperienze di attaccamento si formano per primi, rispetto agli altri derivanti da esperienze di competizione, cooperazione e sessualità. Quest’ ultimi entrano in funzione successivamente quando la maturazione lo permette e dovranno essere assimilati almeno parzialmente dagli schemi cognitivi interpersonali relativi all’attaccamento: il sistema motivazionale sessuale, pur essendo come gli altri innato, dovrà attendere addirittura l’adolescenza per divenire pienamente operativo. In un'ottica evoluzionista, la psicopatologia sembra essere definita tenendo conto sia del primato organizzativo degli schemi cognitivi interpersonali e sia dalla qualità della relazione interpersonale che sta alla base della costruzione dei modelli operativi interni. La psicologia evoluzionista, infatti, è in pieno accordo con studi che dimostrerebbero che i bambini che crescono all’interno di relazioni interpersonali caratterizzate dall’attaccamento sicuro riescono a superare il test della << della falsa credenza >> prima di quelli che si sviluppano all’interno di attaccamenti insicuri ( Fonagy, 1997). Secondo Baron- Cohen ( 1995), il superamento del test della falsa credenza indica che il bambino ha sviluppato una << teoria della mente>> e cioè la capacità di immaginare cosa stia avvenendo nella mente di un altro essere umano . Lo sviluppo della << teoria della mente>> dell’altro è pressoché sinonimo di sviluppo della coscienza dato che è opera di quest’ultima immaginare i contenuti dell’esperienza soggettiva di un altro essere umano. Ciò che emerge da questa prima parte, e che io volutamente ho messo in risalto e che la psicologia cognitivo – evoluzionista organizza il suo apparato teorico aderendo, anche se con un linguaggio diverso, ai tre “impianti“ sopra citati, che è possiamo così tradurre e schematizzare : La sincronicità di sistemi motivazionali interpersonali interagenti tra soggetti; I modelli operativi interni quale realtà interna soggettiva; Una teoria della mente alla base dello sviluppo e della salute mentale. In che modo questi tre costrutti sono equiparabili ai concetti psicoanalitici? Vorrei adesso tentare di trovare aspetti similari che mettono a confronto i tre costrutti sopraindicati con alcuni concetti psicoanalitici. 3. Analogie tra << l’incastro interagente strutturarle>> in psicologia cognitivo evoluzionista e la sensibilità e il rispecchiamento materno in psicoanalisi Nelle formulazioni psicoanalitiche la sensibilità è di solito considerata nei termini delle conseguenze che ha, del suo impatto organizzativo sullo sviluppo del Sé del bambino. Tra queste concettualizzazioni c’è anche una considerevole eterogeneità. Nelle formulazioni kleniana e post- kleniana l’accudimento sensibile fa riferimento ad un genitore capace di assorbire e ritrasmettere in una forma “ metabolizzata” ( Bion, 1976b) l’esperienza psicologica dell’infante. L’infante può accettare e reinteriorizzare ciò che è stato proiettato e quindi trasformato, creandosi così una rappresentazione tollerabile di questi momenti interni d’interazione con il caregiver. Il meccanismo che permette questa sofisticata forma di comunicazione tra l’infante e la madre è definito, come già ho indicato sopra, identificazione proiettiva. La natura non-verbale di questo processo implica che la vicinanza fisica del caregiver è essenziale. Winnicott (1956), in un modo leggermente diverso da Bion, afferma che il bambino, quando guarda il volto della madre che rispecchia il suo stato, scopre il suo Sé. Di conseguenza, la funzione di specchio della madre è ritenuta indispensabile per lo stabilirsi della rappresentazione di sé nell’infante. In “Infanzia e società “ (1950), Erikson ritiene che ci sia bisogno di un bilanciamento tra il positivo e il negativo e che se la bilancia pende di più verso il positivo allora si può sperare di affrontare le crisi successive del bambino con maggiori possibilità di uno sviluppo sano. Allo stesso modo, la non intrusività del genitore è considerata da Erikson come la capacità della madre di non avere un controllo eccessivo sull’interazione. La sincronia interattiva è probabilmente equivalente alla descrizione di Erikson della << reciprocità o regolazione reciproca >>. In definitiva, sono molti a sostenere che una relazione ben regolata con il caregiver, in altre parole un “ incastro interagente strutturale “ - parafrasando i teorici della psicologia cognitivo evoluzionista - determina un senso del Sé autonomo e robusto. 4.Quali similitudini tra i modelli operativi interni e il << mondo interno>>? Se la psicologia cognitivo - evoluzionista da un valore teorico e clinico ai modelli operativi interni, mutuati dalla teoria dell’attaccamento, allora deve inevitabilmente presupporre che essi siano in qualche modo equiparabili al mondo interno descritto e spiegato dalla psicoanalisi o perlomeno da molto delle sue correnti. Nel 1976 kernberg criticò apertamente Bowlby , perché secondo lui, non aveva considerato il << mondo interno>> e che in certo qual modo aveva trascurato “ gli istinti come sviluppi intrapsichici e le relazione oggettuali interiorizzate come fondamentali organizzatori strutturali della realtà psichica”. Questa critica qualche anno dopo fu considerata del tutto ingiustificata da Fonagy che sostenne che sarebbe stato più corretto da parte di kernberg se avesse detto che Bowlby aveva una concezione del <> differente dalla propria. Infatti, per fare qualche esempio, Bowlby, come lo stesso Freud, riconosce che l’angoscia è un esperienza epifenomenica, biologicamente determinata, connessa alle esperienze di pericoli tanto interni quanto esterni, il prototipo psicologico dei quali è la perdita dell’oggetto. Forse, Bowlby, è stato frainteso perché ha posto l’ attenzione sui fattori patogeni interpersonali più che su quelli intrapsichici, cosa che fu fatta, tra l’altro, anche dallo psicoanalista ungherese Ferenczi (1933) che si concentrò sulla natura potenzialmente traumatica del fallimento degli adulti nel comprendere i significati del mondo psicologico del bambino, anticipando i rischi associati a una mancanza di sensibilità da parte degli oggetti primari. Studi recenti danno ragione a Fonagy : << più recentemente, abbiamo tentato di dimostrare che le costanti transgenerazionali nella classificazione dell’attaccamento possono essere comprese come interiorizzazione delle difese mobilitate nel caregiver dall’angoscia dell’infante >> ( Fonagy et al., 1995°). In definitiva, possiamo dire che tanto la teoria dell’attaccamento quanto la psicoanalisi moderna hanno come fondamentale obiettivo epistemico la descrizione dei meccanismi interni responsabili della discrepanza fra realtà materiale e realtà psichica, così come il principio fondamentale di entrambe è quello per cui la percezione e l’esperienza sociale sono distorte da aspettative sia consce che inconsce. 5. L’importanza della mentalizzazione o metacognizione nella psicologia cognitivo - evoluzionista, nella teoria dell’attaccamento e nella psicoanalisi Il contributo più interessante che l’orientamento evoluzionista ha dato alla psicologia, secondo Liotti, è l’aver formulato un insieme di argomenti che suggeriscono come la coscienza si sia evoluta con la funzione di mantenere e sviluppare ulteriormente la comunicazione sociale una volta che questa aveva raggiunto la notevole complessità osservabile nei gruppi di primati ( Liotti, 1994, 1996 c) . Liotti si esprime in questo modo: “ se questo asserto della psicologia evoluzionista è corretto, dovrebbe essere possibile definire quali caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali siano correlati a quei livelli ottimali di prestazioni coscienti che, nel processo psicoterapeutico, sono stati descritti come insight, abilità di decentramento o distancing, capacità di assumere il punto di vista dell’altro, e libertà di richiamare alla coscienza episodi del passato anche dolorosi”. In questo brevissimo stralcio, l’autore sostiene che esiste uno strettissimo collegamento, ormai più che provato, tra qualità della relazione interpersonale e prestazioni coscienti. Infatti, oggi sappiamo che l’attaccamento sicuro è un buon predittore della capacità matacognitiva nell’ambito della memoria, della comprensione e della comunicazione. Sappiamo anche che la comprensione che il caregiver ha della mente del bambino incoraggia l’attaccamento sicuro, così come l’accurata lettura che il caregiver fa dello stato mentale dell’infante, favorisce in quest’ultimo la simbolizzazione del proprio stato interiore, determinando una migliore regolazione affettiva. Facendo un’attenta analisi dei testi freudiani, scopriamo che la nozione di funzione riflessiva o mentalizzazione è presente nel corpus freudiano già dal 1911 con il termine Bindung o legame che si riferisce al passaggio o meglio a un mutamento qualitativo da un tipo di legame fisico (immediato) a uno di tipo psicologico (associativo). In seguito, Melanie Klein nel descrivere la posizione depressiva sottolinea come essa necessariamente implichi il riconoscimento del danno e della sofferenza presente nell’altro, che è poi consapevolezza di uno stato mentale. In Bion, invece, è cruciale la capacità materna di contenere il bambino e rispondergli, in termine di cure fisiche, in un modo, però, che dimostri la sua consapevolezza dello stato mentale del piccolo, ma anche capace di farvi fronte con la riflessione: un rispecchiamento dell’angoscia mentre si comunica uno stato affettivo incompatibile con essa. Infine, Winnicott si è avvicinato molto alle idee della teoria dell’attaccamento e in particolar modo quando afferma che la comprensione che il caregiver ha dell’infante e d’importanza fondamentale per far emergere il vero Sé. Così, anticipando le idee della psicologia evoluzionista e della teoria dell’attaccamento, la psicoanalisi ha sempre ritenuto la nozione di una consapevolezza implicita, riflessiva, astratta acquisita intersoggettivamente, il fulcro attorno al quale si sviluppa il Sé. Conclusione In questo brevissimo scritto sono stati isolati ed esaminati - così come farebbe un biologo di fronte ad una sostanza da analizzare - i concetti chiave che caratterizzano l’orientamento della psicologia cognitivo – evoluzionista e cioè i sistemi motivazionali interpersonali, i modelli operativi interni e la coscienza, elemento principe che caratterizza lo sviluppo della mente. È stata mia intenzione dimostrare che gli stessi concetti anche se con denominazione diversa sono ravvisabili nelle diverse formulazioni emersi dallo studio psicoanalitico freudiano, kleniano, post – kleniano e degli indipendentisti inglesi in epoca precedente. Di fatto ciò avvalora ancor più la tesi che la psicoanalisi sta vivendo un nuovo periodo definitivo da me "Teodosiano". (*) Psicoterapeuta e psicoanalista infantile, membro ordinario dell’associazione italiana di psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia e dell’adolescenza Bibliografia essenziale Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J. (1999), Teoria della mente e autismo. Insegnare a comprendere gli stati psichici dell’altro. ed. Centro Studi Erikson Bion, WR (1996). Cogitations – pensieri. Edizione Armando, Roma Bowlby J. ( 2000). Attaccamento e perdita. Ed. Bollati Boringhieri. Camillo Loriedo,Walter Santilli (2000). La relazione terapeutica. Ed. Franco Angeli, Milano. Erikson, H. Erik ( 2008 Rist.). Infanzia e Società. Ed. Armando. Roma Fonagy P., Target M. ( 2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Ed. Cortina Raffaello Freud S. (1925), Inibizione, sintomo e angoscia. OSF, vol. X. Freud S. (1922), L'Io e l'Es. OSF, vol. IX. Lalla C. ( 1996). Verso una sintesi fra cognitivismo e psicoanalisi: teoria e tecnica del lavoro psicoterapeutico. Ed. Franco Angeli, Milano. Liotti G. (2005), La dimensione interpersonale della coscienza. Ed. Carocci Mancarella, A. ( 2010). Evoluzionismo, darwinismo e marxismo. Gruppo editoriale Tangram SRL Klein M. ( 2006), Note sul alcuni meccanismi schizoidi 1946 - in Melanie Klein scritti 1921–1958. Ed. B. Boringhieri. Klein M. ( 1998), La psicoanalisi dei bambini. Ed. Psycho G. Martinelli & C. Firenze Winnicott D. W. ( 2007 Rist.). Lo sviluppo affettivo e ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Ed. Armando. Roma.

venerdì 6 novembre 2020

Alcune dritte per fare prevenzione alla salute psichica

Per fare una buona e attenta prevenzione al disagio psicologico in età pediatrica , e non solo, è assolutamente fondamentale fare un distinguo tra sintomo medico e sintomo psichico. Il sintomo medico, è Il segno che qualifica un tipo di ragionamento logico che permette di collegare un elemento, per esempio, un dato diagnostico con uno stato morboso. In patologia medica, più il segno è univoco, più è operativo, perché permette di individuare più facilmente la malattia di cui è indice. Le cose sono molto diverse quando ci si occupa del sintomo psichico. Oggi, grazie a due fondamentali scoperte di Freud sappiamo come "guardarlo" ed eventualmente come trattarlo. La prima è la scoperta che il sintomo, da indice, ossia da segno logico, diventa un segno linguistico. Fondamentalmente, il sintomo di cui soffre la persona ( indipendentemente dall’ età) "parla" (vuol dire qualcosa) è un messaggio, anche se per il soggetto il suo significato rimane ignoto, sconosciuto, rimosso, dirà Freud. La seconda scoperta Freud l'ha fatta grazie alle isteriche che si lamentavano di sintomi somatici, che erano scollegati però con la realtà degli organi: si comportavano come se l'anatomia non esistesse. In sintesi, da una parte quindi il sintomo psichico non ha necessariamente un legame reale con l'organismo e dall'altra il sintomo è dotato di senso, di un senso però non consapevole . Lacan dirà poi che il sintomo si forma come un'operazione di linguaggio e cioè come una metafora. Abbiamo una metafora quando un significante viene sostituito da un altro significante e questa sostituzione ha come effetto per esempio la creazione di un senso nuovo. Che cosa ne ricaviamo dagli insegnamenti di Freud, Lacan ed altri? Come i loro insegnamenti possono essere usati per fare prevenzione? Quali errori il clinico può evitare? Alcune brevi considerazioni: 1. Se il sintomo è una metafora dobbiamo allora considerare il suo aspetto "camaleontico " che ci suggerisce e deve metterci in guardia che esso può presentarsi in diverse forme. Altresì bisogna essere cauti e non esultare subito quando all’inizio di un percorso terapeutico il sintomo scompare magicamente poiché non indica affatto una risoluzione del problema ma solo un probabile "spostamento" 2. Lo spostamento ci porta a due corollari a. Che il sintomo può presentarsi in una forma in età infantile e ripresentarsi in un’altra forma in seguito, in adolescenza , se il clinico non è stato abbastanza attento quando ha avuto la possibilità di occuparsene. b. Che non si caratterizza per la sua univocità come in molti casi lo è per il sintomo medico ( come detto sopra); 3. Un ostacolo alla prevenzione, è la ‘banalizzazione del sintomo’ che è un operazione rassicurante per il genitore e a volte per il medico ma che alla fine porta a pagare un prezzo molto salato. Infatti è accertato clinicamente che dietro un " sintomo banale" in età pediatrica può nascondersi un quadro psicopatologico molto grave che spesso si manifesta durante l’adolescenza. Solo per fare un esempio, dietro una fobia può esserci una psicosi che esordirà quando ci saranno alcune particolari condizioni in futuro. Quali suggerimenti mi sento di dare, in ordine sparso: 1. Evitiamo di banalizzare il sintomo; 2 Approfondiamo sempre il sintomo per comprendere cosa c’è dietro e come si collega all’intero funzionamento psichico della persona, bambino o giovane adulto che essa sia. 3. È fondamentale intervenire precocemente; 4 . Non bisogna fidarsi assolutamente se il sintomo scompare spontaneamente e/o tantomeno dopo una breve consultazione psicologica perché come si dice dalle mie parti " gatta ci cova". Poche indicazioni per fare bene e meglio. Buona prevenzione a tutti!

domenica 13 settembre 2020

QUANDO IL CIELO NON TOCCHERÀ PIÙ LA TERRA O IL MARE: I NUOVI NATI E L'ESPERIENZA CONTRA NATURAM DA COVID-19

di Pasquale Califano http://www.psychiatryonline.it/node/8700 I neonati di tartaruga sono abili fin dalla nascita. Per uscire dal guscio utilizzano il "dente da uovo" che verrà poi riassorbito in un paio di settimane. Una volta usciti, sono impegnati dai due ai sette giorni per scavare lo strato di sabbia che copre il nido e raggiungere la superficie. In genere, ciò avviene col calare della sera e, immediatamente dopo, essi si dirigono, in condizioni normali, verso il mare. Appena nato, il piccolo di tartaruga segue un programma biologico che attiva la ricerca, in modo automatico, della fonte più luminosa in un arco sull'orizzonte di 15 gradi. Questa condizione è rappresentata dall'orizzonte marino su cui luna e/o stelle si riflettono. Purtroppo, a volte, capita, a causa di una concentrazione di luci artificiali, che i piccoli si disorientano e deviano dal naturale cammino, "smarriscono la strada" fino a determinare talora, in alcune occasioni, la perdita di tutta la nidiata. Così come i piccoli di tartaruga, anche i nuovi nati dell'uomo, dalla nascita, sono amorevolmente inclini ad andare verso "l'orizzonte materno" ma, come in tutte le avventure della vita, i pericoli non mancano e a volte è facile deviare da un "buon incontro" . La questione che vorrei affrontare, in questo breve articolo, nasce da un interrogativo: alla luce delle scoperte fatte nell'ambito della psicologia infantile, e degli inevitabili mutamenti nella relazione interpersonale tra madre-neonato, nella fase primaria della vita, a causa del covid-19, si sta seriamente valutando se le ultime indicazioni del Ministero della Salute in materia possano recare danni psicologici alla coppia madre/neonato? A partire dagli anni sessanta, la concezione che si ha dei neonati muta straordinariamente, la percezione cambia radicalmente, si aprono nuove frontiere alla loro conoscenza e si scopre che essi non sono "attivati" dalla madre ma da una primaria attività endogena che deve coordinarsi con quella materna, ossia, in armonia con una delle funzioni base del cervello di scoprire e ordinare le informazioni, sono spinti da una motivazione intrinseca a ciò, e sono automotivati a scoprire le regolarità, a generare aspettative ed agire in base ad esse. (L. Sander, 1977). Prende forma una nuova e diversa concettualizzazione, il neonato è visto come parte attiva nel rapporto con la madre , nei termini di un "sistema diadico". Questa nuova prospettiva paradigmatica obbliga gli studiosi - tutti di formazione psicoanalitica (Beatrice Beebe, Daniel Stern, Allan Schore, Alan Fogel, Joseph Lichtenberg, Colwyn Trevarthan, Edward Tronick e Louis Sander) - a ideare metodiche adatte ad osservare empiricamente la relazione simultanea tra madre e bebè, impegnati nella regolazione del rapporto interpersonale. Prendono forma studi e ricerche che confluiranno nell'infant research; attraverso le lenti di questo paradigma scientifico si guarda ad un "neonato interattivo". Alla fine degli anni '70, i ricercatori infantili, usando analisi frame-by-frame e split-screen delle interazioni videoregistrate tra neonati e madri, sono in grado di descrivere la natura di queste interazioni. Vengono pubblicati articoli scientifici nei quali sono descritte le incredibili capacità che posseggono i neonati, immediatamente alla nascita, nell'interagire con la madre. Se adagiati pelle contro pelle sul suo addome, sotto al seno, poco dopo la nascita, rimangono serenamente in uno stato vigile per 20-30 minuti, poi iniziano una sequenza, (uguale per tutti), che comincia con lo schioccare delle labbra e poi con il perdere la saliva ( bava) dalla bocca. Si muovono in avanti verso il seno non lavato, la testa si gira da una parte all'altra, fanno rimbalzare il naso sul seno, spostandosi verso il capezzolo, aprono così abbondantemente la bocca quando è vicino, strofinandolo in modo che l'areola diventi gonfia, tirano dentro profondamente il capezzolo in una posizione che è ottimale per iniziare la poppata. Se questa sequenza, che porta alla poppata, ha inizio entro la mezz'ora dopo la nascita, avviene, straordinariamente, una secrezione di ossitocina che determina una vasocostrizione nella madre che ha la funzione di controllare l'emorragia postpartum e ridurre il dolore. La secrezione di ossitocina, così stimolata, avviene dentro la matrice intercellulare del cervello, tanto che le iniezioni di ossitocina da sole non producono gli stessi effetti. Si comprende che l'effetto sulla madre, nello sperimentare la competenza innata del neonato, è assai notevole, con diversi riverberi psico-fisiologici. È tale, la sua capacità innata da comunicare quanto è vero che il suo bambino è un essere agente, che sa iniziare la propria autoregolazione e la propria auto-organizzazione, un elemento cruciale nell'iniziare il processo di differenziazione che sarà "negoziato" nei mesi a venire (Lachmann, Jaffe, 1997) L'infant research mette in risalto le incredibili capacità innate mai supposte prima nel neonato, che possono essere colte nel primo anno di vita: percepiscono caratteristiche, le traducono in modalità amodali, riconoscono se la madre sta agendo in concordanza con loro oppure no e possono dire se gli schemi di comportamento sono simili o no; sviluppano aspettative in relazione a questi schemi, li ricordano e li categorizzano. Anche se l'elenco delle capacità espresse, documentate agli inizi della vita sono ormai note, preferisco rammentarne qualcun'altra. È noto che sanno apprendere già dalla vita intrauterina, riescono ad individuare i caratteri di una superficie anche se l'hanno soltanto toccata, sanno distinguere la voce, l'odore, il volto della madre, così come sono in grado di discriminare la madre dagli altri riconoscendone le vocalizzazioni ecc. Per dimostrare tutte queste stupefacenti competenze appena indicate, i nuovi nati sono stati sottoposti a degli esperimenti ed anche se non sanno rispondere direttamente alle domande degli sperimentatori, per ovvi motivi, sono riusciti a farsi comprendere. Ad esempio, "è stato chiesto", a soli tre giorni dalla nascita, di distinguere l'odore del latte della madre, ponendo a un lato della testa dei tamponi impregnati dell'odore del suo seno e all'altro lato della testa dei tamponi impregnati dell'odore del seno di altre mamme che allattavano. Con grande sorpresa dello sperimentatore, immagino, essi giravamo la testa verso il tampone della mamma, riuscendo così a rispondere indirettamente che preferivano stare con la mamma e che sapevano distinguere l'odore del suo latte. Un filone di ricerca ancora in auge e pertanto fecondo riguarda la voce della madre. I bebè mostrano un irresistibile passione per la prosodia del maternese. (Marie-Christine Laznik, 2012). Per chi non lo sapesse, il maternese o motherese è la lingua che tutte Ie madri del mondo usano per parlare con i neonati. Qualcuno, negli ultimi anni, ha pensato che sarebbe meglio dire "parentese" perché anche i papà la usano. Sicuramente, qualche volta vi sarà capitato di udirlo. Sul piano prosodico il maternese si caratterizza per un registro della voce più elevato di quello solito, una gamma ristretta di contorni intonativi - ma dalle modulazioni e variazioni di altezza molto esagerate - di forme melodiche lunghe, dolci e con ampie escursioni. L'effetto prosodico è amplificato dalla frequenza delle ripetizioni sillabiche. Lo studio di tali ripetizioni condotto su coppie - madri/bebè - (in buona salute e senza problemi alla nascita) fra il terzo e il quinto giorno di vita, rivela la grande differenza melodica esistente fra il linguaggio rivolto al bebè e quello che si scambiano gli adulti fra loro. Questo tipo di discorso meraviglioso attrae tanto, si produce sin dalla nascita, fin da quando la madre vede il suo bebè; e se il neonato non è nella stanza insieme alla madre, ella non è capace di produrre un autentico maternese, rivolgendosi al bebè con una gamma dai contorni molto meno "esagerati". Tuttavia anche il bebè contribuisce, attraverso un'intensa e desiderosa partecipazione, alla qualità prosodica del maternese prodotto dall'adulto. Si tratta dunque di una vera co-creazione, in cui la parte che svolge il nascituro non è affatto di poco conto. A partire dalla settima settimana, essi preferiscono una donna che parli in maternese; e dovendo scegliere la preferiscono anche se parla in una lingua straniera. Si mostrano interessati a chi si rivolge a loro in un buon maternese: attraverso Ie linee melodiche sono enunciati primi messaggi verbali veicolati da importanti aspetti affettivi. Da essi sono motivati, incitati alla comunicazione verbale. È la musicalità che assume per il bebè un profondo valore affettivo che li prepara alla rappresentazione di parole. Questo rapporto poetico e musicale ( maternese), su un piano cognitivo, li aiuta ad organizzare l'informazione della parola. Da un po' di tempo si è scoperto che i neonati sono molto "patriottici": a quattro giorni dalla nascita distinguono la madrelingua, preferendola di gran lunga ad un'altra. Ovviamente, in altri paesi i risultati sono stati gli stessi. Ultimamente, a causa del coronavirus, gli uomini si sono dovuti attrezzare a comunicare a distanza usando la tecnologia che quest'epoca mette a disposizione. Pare che i neonati poco o per nulla tollerano i mezzi che non assicurano una presenza diretta della madre. A metà degli anni ottanta è stato svolto un esperimento in cui madre e bambino comunicavano tramite TV a circuito chiuso, ma con una temporalità non sincrona della voce. Quando la voce della mamma era “differita”, bambini diventavano confusi e poi evitanti (C. Trevarthen). Differendo la voce del bambino, era la madre che ne rimaneva influenzata poiché cessava di usare il “motherese”. Si può concludere che tutto ciò contrasta con la visione che i neonati siano essere passivi e non interattivi e soprattutto la reazione delle madri dimostra che la risonanza che producono in loro è essenziale nell'alimentare la comunicazione interpersonale. Quando stanno insieme alla madre imparano a stare con lei attraverso una regolazione interattiva, e ciò avviene in particolar modo durante l'allattamento. In questa occasione , la madre è attenta e influenzata dai segnali che provengono dal bebè. Una mamma attenta modifica se stessa nello sforzo di capire e di adattarsi al proprio bebè. Nasce da questa specifica e irripetibile relazione un rapporto unico che prende il nome di 'interazione regolativa'. I bebè fanno delle esperienze attraverso delle procedure che mettono in atto, alle quali corrispondono dei cambiamenti corporei capaci di coinvolgere funzioni connesse con il bioritmo ed il tono muscolare, e ciò avviene con la totale partecipazione della madre. Pertanto, molti studiosi sconsigliano un esercizio dell’ allattamento a orario prefissato, giacché il comportamento della madre non nasce dallo stimolo proveniente dal bebè, ma da una idea precostituita nelle credenze che ha al di fuori di quella interazione. La cronicità con cui una madre disattende i segnali del bebè li mette nella condizione di ricorrere alla autoregolazione ", ad un fare da soli" e ciò, come spiegherò più avanti può essere - secondo alcuni autorevoli studiosi - la fonte di maggior patologia nel primo anno (Tronick, 1989). I neonati non chiedono una relazione perfetta con la madre, si aspettano, invece, che essa sia semplicemente "sufficientemente buona". Essi, sanno dare valore al fatto che la madre non potrà sempre rispondere al loro pianto in modo ottimale; Sanno, poi, approfittare di questi momenti di " disgiunzione" per arrivare a negoziare stati reciproci con sufficiente flessibilità senza irrigidimenti nello schema. L'incontro tra i neonati e la madre richiede l'integrazione sia di attività in correlazione fra loro (pianto e risposta in sincronia), sia l'indipendenza di attività non in correlazione fra loro (pianto e non risposta ottimale), la disgiunzione. Dunque è fondamentale che ci sia questo "movimento oscillatorio" tra stati di corrispondenza e stati di non corrispondenza e che l’esperienza riparativa sia innescata congiuntamente dalla coppia che organizza le disgiunzioni: più forte è l’esperienza di riparazione riuscita, più forte sarà probabilmente la tolleranza della rottura. Tuttavia questo oscillare deve avere una sua "musicalità", il ritmo deve svolgersi all'interno di un sistema preciso perché si sviluppino motivi come modi per definire le emozioni, modi di “essere con”, modi di fare esperienze di relazione, che nell’insieme sono modelli di aspettative di coordinamento del ritmo. Nel documento recante il titolo "OGGETTO: COVID-19: indicazioni per gravida-partoriente, puerpera, neonato e allattamento. Ministero della salute del 31/03/2020" le disposizioni del ministero della salute prevedono: << a. Se la madre presenta un’infezione respiratoria francamente sintomatica (febbre, tosse e secrezioni respiratorie, mialgie, mal di gola, astenia, dispnea), madre e neonato vengono transitoriamente separati, in attesa della risposta del test[...]; b. Se il test risulta positivo, madre e neonato continuano ad essere gestiti separatamente; c. In caso di separazione del neonato dalla madre si raccomanda l’uso del latte materno spremuto o donato.[...] d. Nei casi di infezione materna grave la spremitura del latte materno potrà non essere effettuata in base alle condizioni generali della madre.[...] e. Neonati positivi per SARS- CoV-2 necessitanti di Terapia Intensiva Neonati e lattanti di peso < 5 kg con positività confermata per SARS-CoV-2 e necessità di terapia intensiva neonatale devono essere trasferiti presso Centri di Terapia Intensiva Neonatale identificati, con l’attivazione del Sistema di Trasporto Neonatale in Emergenza (STEN)>>. Le disposizioni del ministero della salute messe in atto a causa del covid-19 potrebbero essere pericolosamente "contra naturam". Sono procedure che prevedono separazioni ( nel caso la mamma risultasse positiva al covid-19), seppur transitorie, ma di grande effetto per il nascituro (capaci di far deviare dall'opportuno sviluppo emotivo e cognitivo) e di incontri con la madre mediata da dispostivi come mascherine chirurgiche mentre si è allattati con un altissimo rischio di compromettere la relazione, in un momento della vita in cui la qualità del legame è fondamentale per la crescita. Se proprio deve prevalere la scelta biologica, e quindi non è possibile disattendere le disposizioni sanitarie, almeno, è fondamentale che siano coinvolti osservatori esperti. Esperti in psicologia dello sviluppo infantile che sappiano cogliere quei segnali che possono scaturire da questa situazione difficile - e poter tempestivamente intervenire - ed evitare che il neonato, sopraffatto, ricorra a modalità autocentriche che possono seriamente influenzarne lo sviluppo attraverso, ad esempio, l'auto-contenimento con I'immobilità o il movimento continuo del corpo, con la contrazione della muscolatura o con I'aggrappamento ad elementi inanimati dell'ambiente; focalizzandosi su stimoli visivi o tattili, deviando da un incontro con "l'orizzonte materno". Quando si presentano questi segnali significa che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, allora, il cielo, temibilmente non toccherà più la terra o il mare. Soltanto se matura in noi e si manifesta un'adeguata sensibilità, supportata dalle conoscenze che fin d'ora abbiamo acquisito nel campo della psicologia infantile, è possibile accogliere i neonati con tutte le precauzioni del caso in condizioni fortemente umanizzanti. Bibliografia essenziale 1. Allan N. Schore "La regolazione degli affetti e la riparazione del sé"Astrolabio Ubaldini (2008) 2. Allan N. Schore "I disturbi del sé. La disregolazione degli affetti"Astrolabio Ubaldini (2010) 3. Beatrice Beebe, Frank M. Lachmann "Le origini dell'attaccamento. Infant research e trattamento degli adulti" Cortina Raffaello (2015) 4. Beatrice Beebe, Karlen Lyons-Ruth, Edward Tronick "Infant research and psychoanalysis" Fenis Zero (2018) 5.Beatrice Beebe, Frank M. Lachmann "Infant Research e trattamento degli adulti. Un modello sistemico-diadico delle interazioni"Cortina Raffaello (2003) 6. Colwyn Trevarthen "Empatia e biologia. Psicologia, cultura e neuroscienze"Cortina Raffaello (1998) 7. Daniel Stern "Le interazioni madre-bambino "Cortina Raffaello (1998) 8. Daniel Stern "Il momento presente" Cortina Raffaello (2005) 9. Joseph Lichtenberg "La psicoanalisi e l'osservazione del bambino" Cortina Raffaello (1995) 10. Marie-Christine Laznik "Con voce di sirena" Editori Internazionali Riuniti, Roma, (2012) 11. Rodini C. " Infant Research e nuove prospettive su teoria e tecnica della psicoterapia e della psicoanalisi " Ricerca Psicoanalitica, XV (1): 91-122." (2004) 12. Sander L. W. " Issues in early mother-child interaction " J. of the Am. Academy of Child Psychiatry, 1: 141-166. (1962) 13. Edward Tronick "Infant Curriculum: The Bromley-Heath Guide to the Care of Infants in Groups " (1973) 15 Edward Tronick "Regolazione emotiva. Nello sviluppo e nel processo terapeutico" Cortina Raffaello (2008)

UN BREVISSIMO SCORCIO DEL COMPLICATO LAVORO PSICOANALITICO CON I BAMBINI (RIVOLTO AGLI ADULTI CURIOSI ED IN CONTATTO CON LA PROPRIA INTERIORITÀ)

Titolo: Un brevissimo scorcio del complicato lavoro psicoanalitico con i bambini, rivolto agli adulti curiosi ed in contatto con la propria interiorità Sottotitolo: Ma allora non si tratta di una semplice chiacchierata!? Non di rado, in analisi è possibile cogliere stati di insofferenza nel bambino. Prima di quel momento, esso, era stato catturato da giochi in una condizione priva di una valenza specificatamente transferale. Ad un certo punto, però, comincia ad affacciarsi qualcosa di totalmente diverso: il gioco è accompagnato da contenuti emozionali riferibili alla coppia paziente/analista. Questi affetti, legati a dinamiche psichiche soggettive, sono di una tale intensità che generano nel bambino profonde angosce. Il terapeuta s'è competente, mantenendosi saldo ad uno specifico assetto analitico tenuto in seduta, acquisito durante la sua lunghissima formazione, permette che questi affetti - strettamente legati alla problematica per la quale n'è stata fatta richiesta la terapia- emergano per poterli elaborare. Capita sovente che una parte di questi affetti venga proiettata sulla figura dell'analista che assume così , agli occhi del bambino , le sembianze di una figura mostruosa ed un altra parte prenda vie somatiche che è possibile scorgere ad esempio nell' uso continuo del bagno a causa di brevi ma intensi mal di pancia. È il periodo in cui tutti i "mali" sono depositati in seduta mentre l'esterno è libero e la sintomatologia scompare ( parzialmente o del tutta) a causa di questa "scissione artificiale": la stanza è così abitata da tutto ciò che è indicibile mentre l' esterno assume coloriture benevoli. Il bambino, preso in errore ( cosa che capita anche agli adulti) pensa che lasciando la stanza della terapia possa sfuggire alle sue angosce. È una pia illusione, un inganno perché ciò che c'è esiste ed è reale nella sua mente e non nella stanza che altro non è che un semplice luogo fisico inanimato. L'analista ha una sola possibilità di fare uscire il bambino dal suo inganno e nel contempo fornirgli sollievo: descrivere ( e portare alla luce) il suo stato mentale, il suo mondo interno così come si esplica in quel momento nel rapporto con l’analista. Un mondo interno popolato di immagini primitive, di fratture e ricomposizioni, di mostri e angeli, di trame fantastiche e, sostanzialmente, di oggetti parziali. Tutto questo, seppur in parte doloroso, è necessario se si desidera aiutare il bambino ad avere un futuro in salute, prevenendo che le angosce e le dinamiche psichiche si esprimano in seguito in disturbi mentali. Buona giornata a tutti!

DUBBI E PERPLESSITÀ SUL NUOVO STRUMENTO PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO AUTISTICO

Sono in vacanza, il tempo non favorisce una bella e sana nuotata, e quasi per caso ho iniziato a leggere un po' di materiale prodotto dall'Istituto Superiore della Sanità che riguarda la diagnosi precoce all‘autismo . È un "progetto" particolarmente articolato ma l'area che m'interessa è la valutazione al rischio autismo da 0 a 12 mesi. L'iniziativa, prevede il coinvolgimento dei pediatri per l'intercettazione dei primi segnali di rischio durante il bilancio di salute. La prima cosa che mi chiedo è il numero di bilanci di salute che a memoria non sono molti: sono dieci in tutto e si svolgono in un arco di tempo compreso tra i primissimi mese di vita ed i tredici, quattordici anni. Poiché una valutazione del rischio autismo auspicabilmente dovrebbe essere fatta entro i primi 12 mesi, facendo due conti, significa che il pediatra ha a disposizione in tutto cinque incontri. Sulla base della mia esperienza , credo che il tempo a disposizione, concesso ai pediatri, può risultare pochino! Mosso da un ottimistico entusiasmo penso che si investa, allora, sulla durata di ogni singolo bilancio. Poi però ci ripenso: anche se durasse più di un ora , un'ora e mezzo, comunque non potrebbe mai essere sufficiente, questo tempo, per cogliere qualcosa di clinicamente rilevante. Da considerare, inoltre, che il pediatra, ammesso che abbia a disposizione un ora e mezzo, non è certamente (questo tempo) impiegato da lui esclusivamente per l'individuazione dei sintomi di un rischio autismo ma anche per fare altro. Detto ciò, tralasciando la questione tempo, mi pongo altre domande . La prima: quale strumento usa il pediatra per la rilevazione dei segni di un possibile disturbo? ( Non dimentichiamo che stiamo parlando di bambini molto piccoli che non hanno superato l'anno di vita). Leggo qua e là che l'Istituto Superiore della Sanità ha costruito uno strumento ( non ancora pubblicato) per la valutazione del rischio autistico. Mi chiedo a questo punto: uno strumento o per essere più preciso una scheda di valutazione presumibilmente è fatta di item , e quindi , ( domanda ) lo sguardo del pediatra dovrà, inevitabilmente, cadere su particolari disturbi neonatali predittivi al rischio autismo da essa indicati? Non è da sapere, però molto probabilmente è così! Allora, mi viene in mente che da più di un ventennio altri colleghi, di altri paesi del mondo hanno percorso questa strada, con ahimè scarsi risultati. Ad esempio in Francia si è investito molto sulla semeiotica ponendo una particolare attenzione ai seguenti disturbi che cerco brevemente di riassumere: - i sintomi psicomotori (disturbo del dialogo tonico [H. Wallon], assenza di anticipazione mimetica, fenomeno d'ipotonia o d'ipertonia paradossali: bambino "bambola di pezza", bambino"saponetta"); - i disturbi del sonno, tra cui la classica "insonnia allegra" o calma; - i disturbi delle grandi funzioni, di quella alimentare soprattutto, come per esempio certe anoressie primarie gravi; - i disturbi dello sguardo (persistenza anomala dello sguardo fisso nel vuoto o condotte di evitamento dello sguardo); - le anomalie del pianto (troppo monotono e non interazionale) o i sospetti di sordità; - le paure arcaiche che talvolta si organizzano in vere e proprie fobie massive e atipiche. Purtroppo (e ripeto purtroppo) nessuno di questi disturbi è di per sé specifico. Questa strada , individuata dai colleghi, come si può constatare, non offre molte garanzie (bisogna metterlo in conto) che utilizza per capirci la " semeiotica" - La semeiotica (dal greco σημεῖον, semèion, che significa "segno", e dal suffisso -iké, "relativo a") è la disciplina che studia i sintomi e i segni clinici-. Seconda domanda: se lo strumento (le schede di valutazione) risultasse fallimentare, tenendo conto dell'esperienza francese, cosa resta ai pediatri da usare? Purtroppo, soltanto il buon senso! Nonostante tutto, gli studi più recenti hanno dimostrato che la prevenzione si può fare ma certamente non attraverso l'analisi dei soli segni clinici. Allora, qual è la strada che non è stata considerata dall'Istituto Superiore della Sanità? La letteratura internazionale ci dice che alcuni segni rivelatori possono essere colti soltanto attraverso l'osservazione e l'uso di una " semeiotica interattiva" . Sembra una quisquilia ma l’introduzione del termine " interattivo" stravolge tutto, è di grande impatto, perché è riferibile contemporaneamente tanto al "cosa osservare" quanto a "come osservare". In sintesi ( interattivo) presuppone che il pediatra: 1. sappia leggere e interpretare cosa stia succedendo in hic et nunc tra madre e neonato ( in un tempo stabilito) 2. ad un certo punto, abbandoni una specifica impostazione o posizione (che sicuramente va bene per condurre una visita pediatrica) per utilizzarne un'altra che favorisca l'osservazione della relazione tra i due, madre/ neonato. Cosa significa assumere un'altra posizione non è possibile spiegarlo in poche righe ( richiederebbe un master) poiché la 'posizione da assumere' di cui parlo non è soltanto esterna. Come il lettore può immaginare, le cose sono complicate e le schede di valutazione, a questo punto, potrebbero non essere di piena utilità. L’istituto Superiore della Sanità però, se si ravvedesse, potrebbe investire, su ciò che chiamo "cambiamento di Setting" che è sicuramente più adeguato allo scopo, con tutto ciò che implica: a. Formazione all'osservazione; b. Attenzione alla lettura dei comportamenti interpersonali e , specificatamente, alle funzioni psichiche correlate e sottostanti "anomale". Tuttavia bisogna essere cauti, anche se si abbandonasse la scheda di valutazione, e si accettasse l'impostazione orientata alla lettura di una " semeiotica interattiva" , allo stato attuale, non c'è nessuna evidenza che si possa fare bene perché è veramente difficile fare previsioni circa le trattorie evolutive di sviluppo. La differenza , spesso, non è fatta dallo strumento, che comunque è indispensabile, ma dalle capacità del clinico. Un clinico che è stato prima di tutto formato all'osservazione infantile ( infant observation) e che ha poi maturato anni di esperienza sul campo e che ovviamente conosca la psicopatologia della prima infanzia può offrire maggiori garanzie . Non s'improvvisa in questo lavoro! Concludo con un altro tipo di previsione, purtroppo non riferibile all'autismo, ponendo l'attenzione, brevemente, ai rischi di tale iniziativa. Penso ai poveri amici pediatri ( che saluto) che saranno investiti di questo peso emotivo. Innanzitutto, introducendo la valutazione del rischio autistico nel bilancio di salute sono inevitabilmente loro che volente o dolente si accollano la responsabilità di un errore di valutazione , (sia che l'autismo c'è sia che non c'è) giusta o sbagliata. È facile che in entrambi i casi i genitori, arrabbiati , delusi, li riterranno responsabili e non è da escludere che fioccheranno azioni legali risarcitorie. Gli avvocati ci andranno a nozze. Tra l'altro c'è una sentenza della Corte di cassazione (sentenza numero 1511/2007), che sostiene ciò che prevedo e che recita: “poiché l’intervento del medico riguarda non tanto o non solo la fisicità del soggetto ma la persona nella sua integrità (si cura non la malattia ma il malato), è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore – come nel caso di specie – riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente”. E anche: “Peraltro, ad essere compromessa è non solo (o non tanto nel caso di specie, vista la tenera età in cui di solito viene eseguita la diagnosi di autismo) la sfera del paziente che ha subito l’errata diagnosi, ma anche (e talvolta soprattutto) quella dei suoi prossimi congiunti, che subiscono delle ripercussioni dirette sulla propria emotività.”(sentenza numero 14040/2013). Spero che le mie osservazioni vengano accolte (dalle persone interessate) in modo costruttive, in modo da avviare una proficua riflessione, e che non siano invece accolte in modo critico, considerato che non è nelle mie intenzioni. Buon proseguimento di vacanze!

L’ABA E’ L’UNICA STRADA PER I BAMBINI CON UN DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO?

Tratto da http://www.autismnz.org.nz/articlesDetail.php?id=23 Barry M. Prizant, Ph.D., CCC-SLP Centro per lo studio dello sviluppo umano, Brown University, Providence, RI Lo scopo di questo documento è di fare il punto su dichiarazioni fatte spesso e riguardanti l’ABA contro altri trattamenti o approcci educativi per bambini con ASD. Un piccolo gruppo fra i tanti bravi professionisti in Analisi Applicata del Comporta- mento ha esposto un approccio “solo ABA” per bambini con ASD, e ha fatto raccomandazioni di trattamento ed educativi che trasmettevano questo messaggio alle famiglie e agli enti che aiutano i bambini. Molti professionisti esperti e genitori sono diventati sempre più preoccupati per queste dichiarazioni fatte da persone che mettono in pratica e propongono l’ABA, dichiarazioni che sono o inaccurate o mezze verità, perchè trasmettono alle famiglie informazioni false che non sono supportate dalle ricerche e dalle pratiche più recenti. Quando questo avviene, può causare confusione nelle famiglie e sfiducia nei professionisti che non sostengono che l’ABA sia il “solo” approccio efficace, minando quindi la fondamentale relazione tra genitori e professionisti, che sta alla base di una collaborazione di successo. Le dichiarazioni che vogliono comunicare ai genitori che “l’ABA è l’unica strada” cercano di convincere i genitori che non hanno bisogno di cercare altro, che non hanno bisogno di informarsi sulla gamma di approcci disponibili, e non è necessario che tengano in considerazione altri approcci o si informino su programmi che possano basarsi su pratiche diverse dall’ABA. Tante volte sentiamo genitori di bambini più grandi che dicono che nei primi anni sono stati portati a credere che l’ABA era l’unico approccio credibile a disposizione. Aggiungono anche che avrebbero preferito essere più informati sulle terapie per bambini con ASD, perché avrebbero potuto fare scelte più informate per i loro bambini. Per iniziare, ecco alcuni brevi commenti sull’ABA, visto che l’ABA è spesso discusso come un approccio o trattamento, cosa che non è accurata. 1. Le definizioni di ABA variano molto, come le terapie che ricadono sotto il titolo di ABA. Una definizione comune di ABA è “L’analisi applicata del comportamento (A- BA) è un processo sistematico di studiare e modificare il comportamento osservabile attraverso una manipolazione dell’ambiente. I suoi principi derivano da estese ricerche di base, spesso con soggetti non umani, ma è diventata famosa negli ultimi anni come terapia per l’autismo e altri disturbi comportamentali”. La dott.ssa Laura Schreibman, una ricercatrice ABA di alto rispetto e consulente, recentemente ha dichiarato che “tecnicamente, l’analisi applicata del comportamento non è un trattamento per l’autismo, è una metodologia di ricerca” (Schreibman, 2007). 2. La gamma di terapie sotto il titolo di ABA si è evoluta negli ultimi 30 anni e ora varia da Pratiche tradizionali a Pratiche contemporanee (Myers & Johnson, 2007; Prizant & Wetherby, 1998; 2005): Una pratica ABA tradizionale è caratterizzata da insegnamento altamente strutturato, diretto da un adulto, a cui ci si riferisce come Discrete Trial Instruction o Training (DTI o DTT) che si focalizza sull’insegnamento di risposte corrette in insegnamento disciplinato. DTT è derivato per la prima volta dagli esperimenti sul condizionamento operante di B. F. Skinner negli anni ’50 ed è stato reso famoso per i bambini con autismo da Ivar Lovaas negli anni 60 e 70, conosciuto poi come modificazione comportamentale. Nella maggior parte dei casi, queste pratiche compren- dono programmi scritti che devono essere seguiti fedelmente quando si “insegna” ad un bambino. Gli obiettivi più importanti comprendono “Controllo istruzionale” e “Obbedienza” mentre si insegna, e stimolano risposte corrette che sono l’obiettivo dei programmi di insegnamento. Sono previste spesso procedure per eliminare comportamenti indesiderati, spesso senza determinare le funzioni o gli scopi di tali comportamenti. I migliori contributi dell’ABA tradizionale comprendono i benefici nello scomporre i compiti in step definiti (task analysis), l’importanza di usare una gerarchia di prompt e eliminazione del prompt, e una misurazione sistematica dei progressi. Le pratiche di ABA tradizionale, però, di solito non sono basate su ricerche sullo sviluppo del bambino e sviluppo umano; usano principalmente formati di insegnamento adulto-bambino (1 a 1) con esclusione di istruzione sociale in vari ambienti; non prendono in considerazione il profilo di sviluppo del bambino; e insegnano abi- lità che non si focalizzano necessariamente sui problemi chiave di relazione e sociocomunicativi che devono affrontare i bambini con ASD. Le pratiche di ABA contemporaneo sono caratterizzate da insegnamento più flessibile e naturale (insegnamento incidentale) in routine e attività naturali che si focalizzano sull’iniziazione sociale e sulla spontaneità nelle routine e attività giornaliere. A causa delle limitazioni significative delle pratiche ABA tradizionali, molti consulenti e terapisti ABA si sono spostati da una pratica altamente strutturata e prescrittiva a pratiche che prestano una maggiore attenzione alla comunicazione sociale in una varietà di ambienti sociali, e il bisogno di determinare funzioni di comportamento per rimpiazzare comportamento meno desiderato. In molti modi, le pratiche ABA contemporanee, come l’Insegnamento Incidentale, il Pivotal Response Training (insegnamento pivotale), e il Sostegno comportamentale positivo sono più simili ad approcci di base evolutiva (per es., SCERTS, Floor-time, RDI) delle pratiche ABA tradizionali. Lo sviluppo di pratiche ABA contemporanee è stato altamente influenzato da ricerche sullo sviluppo del linguaggio e del gioco in bambini neurotipici, con un’enfasi su approcci individualizzati e positivi per capire e intervenire su comportamenti problema. Riassumendo, è importante che le famiglie capiscano che le pratiche ABA variano notevolmente da un approccio all’altro. Tra le diverse pratiche ABA ci sono differenze fondamentali nella filosofia, supporto di ricerca, i tipi di intervento, e i metodi usati per documentare i progressi. Negli ultimi 10-20 anni, la tendenza chiara nell’ABA è stato uno spostamento da pratiche tradizionali a pratiche più contemporanee. Questo è dovuto ai seguenti fatti: 1) la ricerca non ha supportato l’efficacia di pratiche ABA tradizionali nell’insegnamento di comunicazione sociale e di altre abilità funzionali importanti (vedere sotto); e 2) ci sono stati cambiamenti significativi nei valori e nelle credenze della società, che hanno portato a leggi sull’educazione che non permettono più l’uso di punizioni o procedure avversive nella pratica dell’educazione, che erano state inserite e studiate per prime in pratiche ABA tradizionali. Per questa ragione, è di fondamentale importanza determinare a quale tipo di pratica ABA ci si riferisce, specialmente quando si prendono decisioni riguardanti l’uso dell’ABA nella programmazione educativa. 3. I ricercatori hanno criticato gli approcci ABA che usano DTT come metodo predominante di istruzione, citando la sua limitata efficacia. Le loro critiche comprendono: 1) l’uso di strategie che non promuovono la comunicazione sociale o non supportano la formazione di relazioni, cose che sono entrambe i deficit chiave dell’autismo; 2) un modello di insegnamento che è principalmente controllato dall’adulto e che scoraggia l’iniziativa e la spontaneità nella comunicazione e nell’apprendimento mettendo il bambino in un ruolo di “risponditore”, cosa che causa passività e dipendenza da prompt; e 3) l’insegnamento di abilità che rimangono limitate alla situazione di insegnamento: cioè, non vengono generalizzate in maniera significativa per un uso indipendente nelle interazioni e attività quotidiane. Infatti, a causa di queste critiche, le ricerche più considerate e più pubblicate sull’ABA e su ASD negli ultimi tre decenni sono state apertamente critiche delle pratiche ABA tradizionali, hanno abbandonato tali pratiche e hanno dimostrato in ricerche pubbliche che gli approcci più efficaci incorporano principi evolutivi, incentrati sul bambino e sulla famiglia, nella programmazione educativa di bambini con ASD. Come si nota, questi ricercatori e consulenti ABA contemporanei si sono spo- stati verso pratiche basate su un approccio più evolutivo e basate su attività naturali sotto l’influenza della letteratura sullo sviluppo e l’apprendimento del bambino in routine e ambienti naturali. Questi ricercatori e consulenti ABA contemporanei comprendono i dott. Robert e Lynn Koegel, Laura Schreibman, Phil Strain, Gail McGee, alcuni dei quali hanno studiato e condotto ricerche con il Dr. Lovaas (RK, LS, GM) tra la fine egli anni 60 e l’inizio degli anni 80, quando sono state sviluppate inizialmente le pratiche ABA tradizionali. Strain ha sottolineato che soltanto attraverso l’integrazione delle differenti prospettive, comprese la teoria ecologica, evolutiva e dei sistemi, come anche quella comportamentale, si possono sviluppare “nuovi e più efficaci interventi” per i bambini e le famiglie. Le affermazioni più frequenti usate per sostenere le pratiche ABA tradizionali Qui di seguito ci sono esempi di affermazioni sull’ABA che sono ancora fatte di frequente, nonostante il fatto che la ricerca non sostenga tali affermazioni: Affermazione n. 1. Le ricerche hanno concluso che l’ABA è l’unico approccio efficace, o il più efficace, per bambini con ASD, e pertanto è il “trattamento d’oro”. FALSO: La revisione più esaustiva delle ricerche educative finora, condotta dal Consiglio Nazionale di Ricerca (National Research Council, un comitato istituito dall’Accademia Nazionale delle Scienze, NRC, 2001), ha concluso che, allo stato attuale delle ricerche sugli ASD, non ci sono prove che un qualsiasi approccio sia migliore di qualsiasi altro approccio per bambini da 0 a 8 anni. Hanno notato che “gli studi hanno riportato cambiamenti sostanziali in un vasto numero di bambini che hanno ricevuto una vasta gamma di approcci di intervento, dal comportamentale all’evolutivo”. E’ importante notare che questa opinione è stata consensuale per 12 esperti nazionali in ASD, che venivano da diverse discipline e approcci (compreso l’ABA). Questo comitato è stato istituito per rivedere 20 anni di ricerche educative nell’autismo e ha riportato molte conclusioni e raccomandazioni in un documento di 324 pagine (vedere al sito www.NAP.edu). Alcune persone che propongono l’ABA citano le linee guida del 1999 per la pratica clinica dello stato di New York per l’intervento precoce (0-3 anni) per i bambini con autismo (1999 New York State Clinical Practice Guidelines for Early Intervention (0-3 years) for Children with Autism), che mirano a servizi solo per bambini da 0 a 3 anni, per sostenere l’affermazione che l’ABA è l’unico approccio efficace. Però il Consiglio Nazionale di Ricerca ha incluso questo documento nella sua revisione, che è stata condotta alcuni anni dopo, e ha rifiutato le loro conclusioni. L’Accademia Americana dei Medici Pediatri (Myers & Johnson, 2007) ha notato che “C’è un crescente aumento di prove che sostengono l’efficacia di certi interventi (comportamentali ed evolutivi) per il miglioramento di sintomi e l’incremento delle funzioni, ma rimane ancora tanto da imparare”. Affermazione n. 2. Una volta che un bambino è stato diagnosticato con un ASD, deve ricevere ore (25, 30 o 40) di servizi ABA, spesso consigliati con un modello DTT, per fare progressi. FALSO: In base all’esaustiva revisione di ricerche, il Consiglio Nazionale di Ricerca ha raccomandato che i bambini ASD necessitano di coinvolgimento attivo in un intervento per almeno 25 ore alla settimana. Però, non si specifica nessun approccio in particolare, e, come già detto, ci sono prove basate su ricerche di cambiamenti positivi sostanziali ottenuti usando vari approcci di intervento, dal comportamentale all’evolutivo. Inoltre, il NRC ha sottolineato che le priorità educative, o le aree più importanti su cui focalizzarsi, devono comprendere: a) comunicazione funzionale, spontanea, b) istruzione sociale in diversi ambienti (non principalmente in training 1 a 1) c) insegnamento di abilità di gioco che si focalizzino sull’uso appropriato di gio- chi con i pari, d) istruzioni che portino alla generalizzazione e al mantenimento di obiettivi cognitivi in contesti naturali, e) approcci positivi per intervenire su comportamenti problema, f) abilità accademiche funzionali quando appropriato. Gli approcci ABA variano molto per quel che riguarda l’attenzione posta a queste pratiche, con approcci ABA contemporanei che sono più centrati su queste priorità. Affermazione n. 3. Un bambino con ASD trarrà massimo beneficio da servizi ABA che usino un modello di insegnamento DTT perché: a) certe abilità di base devono essere acquisite prima che un bambino possa trarre beneficio da esperienze di apprendimento sociale (“mito” delle abilità di base) b) i bambini con ASD (soprattutto bambini piccoli) possono imparare soltanto in insegnamento 1 a 1, e non possono imparare da altri bambini (“mito” dell’istruzione con rapporto 1 a 1) c) gli ambienti normali sono troppo stimolanti perché un bambino riesca ad im- parare (“mito” della sovrastimolazione) d) il comportamento non può essere controllato in ambienti più normali (“mito” del controllo del comportamento) FALSO: Tre altamente rispettati analisti ABA per l’ASD, i dottori Phil Strain, Gail McGee e Frank Kohler, hanno dedicato un intero capitolo a queste affermazioni, e hanno rivisto ricerche per vedere se c’erano sostegni per ogni affermazione. Hanno concluso che “questi miti hanno basi traballanti, se non addirittura assenti”. (da Strain, McGee & Kohler, 2001). In altre parole, non ci sono ricerche che sostengano questi miti. Strain, McGee e Kohler citano il bisogno fondamentale di attività ben sostenute e programmate per bambini con ASD in ambienti sociali che li includano e che siano appropriati evolutivamente. Affermazione n. 4. Se un bambino non riceve ABA intensivo entro il quinto anno di età, la “finestra di opportunità” per l’apprendimento si chiude o si perde. FALSO. Non ci sono prove che ci sia un limite massimo per l’apprendimento, o che ci sia una finestra di opportunità che si chiuda. Questa affermazione è la versione non corretta di un’affermazione vera: Uno dei fattori associati con migliori risultati è l’avvio precoce di un intervento. Però questo è soltanto uno dei fattori che sono associati con i risultati migliori. Altri fattori comprendono il coinvolgimento di un componente della famiglia, il coinvolgimento attivo della famiglia nella programmazione, attività appropriate dal punto di vista evolutivo, 25 ore di programmazione individualizzata a settimana e opportunità di insegnamento ripetute e pianificate. Il termine “individualizzato” spesso viene male interprato come servizi 1 a 1. In realtà si riferisce ad un programma che sia sviluppato per ogni singolo bambino in base ai suoi punti di forza, necessità e priorità familiari. L’apprendimento e i progressi per i bambini e i soggetti con ASD durano tutta la vita, come per tutti gli esseri umani. Ovviamente è importante iniziare un intervento il più precocemente possibile, ma questo non significa che i progressi di un bambino saranno limitati o assenti a meno che il bambino non riceva un monte ore minimo di ABA (o di qualsiasi altro servizio) prima dei cinque anni. Abbiamo conosciuto molti bambini che continuano a fare progressi evolutivi significativi durante la loro tarda infanzia, adolescenza e persino nell’età adulta. Sfortunatamente l’affermazione “finestra di opportunità” spesso porta ad un eccessivo senso di colpa per molti genitori i cui bambini non hanno iniziato presto a ricevere servizi ABA, o che non hanno scelto l’ABA tradizionale come approccio per il loro bambino. Affermazione n. 5. L’ABA è l’unico approccio educativo che porti ad un “recupero” dall’autismo, cosa che avviene in circa la metà dei casi. FALSO. Quando si fa questa affermazione, gli studi che sono citati più di frequente sono quelli del dott. Lovaas e colleghi (Lovaas, 1987; McEachin, Smith e Lovaas, 1993), in cui sono stati seguiti 19 bambini che ricevevano servizi ABA intensivi e 9 di questi sono stati considerati “recuperati” al follow-up. Ci sono però diversi problemi riguardo questa affermazione. 1. Prima di tutto, questi studi sono stati severamente criticati per le affermazioni fatte riguardanti i risultati degli studi, visto il numero ristretto di soggetti, e il tipo e l’intensità del trattamento fornito. Sono stati criticati anche per molti punti della metodologia di ricerca (per es., le misure usate per sostenere il “recupero”, la selezione dei soggetti, il tipo di gruppo di controllo). Inoltre gli studi sono stati condotti quando venivano usate ancora procedure avversive. Molti tentativi di replicare o riprodurre questi risultati con gruppi più grandi di bambini in diversi centri di ricerca finanziati dallo Stato non sono andati a buon fine e, infatti, diversi di questi centri sono stati chiusi prima del completamento del periodo di ricerca a causa degli scarsi risultati. Attualmente, dopo quasi 20 anni dalle pubblicazioni del primo studio di Lovaas, non ci sono state repliche di successo dei risultati originali, con molti tentativi falliti. 2. Il problema del “recupero” dall’autismo rimane estremamente controver- so, e la probabilità di recupero non è stata supportata da studi di follow- up a lungo termine di bambini che hanno ricevuto diversi interventi. Inol- tre, diagnosi accurate di bambini molto piccoli rimangono una cosa relati- vamente nuova e imprecisa, visto che i bambini piccoli possono cambiare moltissimo nei primi tre anni di sviluppo. Alcuni problemi evolutivi, come disabilità del linguaggio, disturbi di elaborazione sensoriale e disturbi d’ansia, e problemi fisiologici come gravi allergie ambientali e alimentari, e disturbi gastrointestinali possono influenzare notevolmente la comunica- zione sociale e la regolazione emozionale, e possono essere confusi con un profilo di autismo ad un’età molto giovane (alcuni di questi disturbi fisiologici sono stati osservati anche in alcuni bambini con ASD, creando ulteriore confusione diagnostica). Pertanto, sapere se un bambino diagnosticato attorno ai 2 anni di età continuerà a mantenere tale diagnosi 2-4 anni dopo è una questione che le ricerche hanno iniziato solo ora a studiare. Sfortunatamente, le ricerche disponibili indicano che il numero di bambini diagnosticati accuratamente e che “escono dallo spettro” rimane molto basso (circa 2-4%) (Lord et al, 2006). Chiaramente, alcuni bambini con ASD continuano a migliorare accademicamente, nello sviluppo delle relazioni sociali e nell’avere una positiva “qualità di vita” anche se continuano a qualificarsi per una diagnosi e se continuano ad avere alcuni dei problemi associati con l’ASD. Allo stato attuale, però, le ricerche indicano che l’ASD rimane una disabilità evolutiva per tutta la vita per la maggior parte dei bambini che ricevono questa diagnosi. Affermazione n. 6. Ci sono centinaia di studi che dimostrano che l’ABA funziona, e pochi o nessuno studio che dimostrino che gli altri approcci “funzionino”. VERO A META’. C’è una considerevole quantità di studi condotti da ricercatore ABA e pubblicata in riviste ABA e di altro tipo che dimostrano l’efficacia di specifici elementi di pratica, come: insegnare abilità comunicative e rimpiazzi comunicativi per comportamenti problema, uso del water, abilità sociali, uso di supporti visivi, tecniche di rilassamento e molte altre aree di attenzione nell’intervento. Però ci sono molti pochi studi che hanno controllato l’efficacia di “programmi di intervento globali”, e questo è vero sia per l’ABA che per altri approcci di intervento (NRC, 2001). Inoltre, molti studi che sono citati per sostenere la pratica ABA comprendono pratiche che sono state sviluppate prima di tutto fuori dal contesto ABA, come l’insegnamento della comunicazione spontanea, di abilità sociali e di gioco, l’uso di sistemi di comunicazione aumentativi, l’uso di procedure di rilassamento e l’uso di supporti visivi come programmi e organizzatori grafici. Nella sua revisione di ricerche educative, il Consiglio Nazionale di Ricerca (2001), e più recentemente l’Accademia americana dei Medici Pediatri (Myers & Johnson, 2007), hanno sottolineato che ci sono molti modelli, oltre all’ABA tradizionale, che, in modo più globale, comprendono i componenti più essenziali di programmi efficaci che hanno mostrato risultati positivi per bambini con ASD. Inoltre, approcci diversi dall’ABA hanno utilizzato anche pratiche basate su ricerche scientifiche e soddisfano i criteri associati con pratiche educative efficaci. RIASSUNTO E CONCLUSIONE I principi e le pratiche nell’Analisi comportamentale applicata hanno contribuito a lungo all’intervento e alla programmazione educativa per bambini con ASD. La maggior parte di programmi efficaci utilizza alcuni principi e pratiche ABA integrate con altre pratiche (evolutive, sensoriali, comunicazione alternativa aumentativa, sostegno alla famiglia) in programmi individualizzati per bambini. Però, all’interno della comunità ABA, alcuni consulenti e alcuni enti continuano a fare affermazioni che portano alla dichiarazione che “l’ABA è l’unica strada”, o che non è possibile avere programmi di qualità a meno che non siano programmi ABA, o supervisionati da personale ABA (cioè da BCBA, Board Certified Applied Behaior Analysts). La maggior parte delle volte, queste dichiarazioni sono supportate dalle dichiarazioni 1-6 citate prima, nonostante la mancanza di ricerche di sostegno a queste affermazioni, e nonostante ci siano prove che confutano queste dichiarazioni. Sfortunatamente questo messaggio continua ad essere inviato da coloro che propongono pratiche tradizionali ABA, quando vengono prescritti servizi alle famiglie di bambini con ASD, e agli enti che servono questi bambini. Dobbiamo anche prendere in considerazione il costo di queste dichiarazioni, non so- lo monetario, ma anche il tempo perso in una programmazione efficace, per un bambino e la sua famiglia. Focalizzarsi molto su pratiche di ABA tradizionale può portare a far sì che i bambini perdano le opportunità di partecipare ad un programma che sostenga il vero apprendimento sociale e comunicativo e la crescita emozionale, che sono i bisogni primari dei bambini con ASD – tempo che poteva essere speso imparando dalle persone e sviluppando relazioni, e acquisendo abilità funzionali significative che permettano ai bambini e ai soggetti più grandi, e alle loro famiglie, di partecipare ad attività e routine quotidiane nella loro casa, scuola e comunità, e stare bene nel portarle avanti. Le revisioni di ricerche più rispettate ed esaustive hanno indicato che non ci sono prove sostanziali che supportino i “miti” citati sopra. Infatti, come si è indicato, queste affermazioni sono state severamente criticate dai ricercatori più pubblicati all’interno dell’ABA, le cui ricerche e pratiche si sono evolute dall’ABA tradizionale a pratiche più contemporanee (i dott. Robert e Lynn Koegel, Phil Strani, Gail McGee e altri). Ovviamente, queste dichiarazioni sono state contestate da altri professionisti che hanno contribuito alle pratiche per ASD per sviluppare approcci di orientamento diverso dall’ABA, come Stanley Greenspan, Steven Gutstein, Gary Mesibov, Carol Gray, io stesso e i miei colleghi. Inoltre, adulti con autismo, compresi Stephen Shore, Jerry Newport, Temple Grandin, Donna Williams, Ros Blackburn e Micelle Dawson, che hanno scritto e/o parlato delle loro esperienze, hanno sollevato seri dubbi su approcci che derivano principalmente da pratiche ABA, con l’esclusione di altre pratiche. Come detto, lo spostamento dall’ABA tradizionale a pratiche più contemporanee è stato la tendenza chiara e continuativa nell’educazione e nel trattamento all’interno dell’ABA. Le pratiche di ABA contemporaneo sono ora molto vicine per filosofia e pratica a pratiche non ABA che sono basate più sul processo evolutivo, e individualizzate per bambini e famiglie (per es. DIR-Floortime, Hanen, RDI, SCERTS, TEACCH e altri). Infatti, nel più recente ciclo di premi per sovvenzioni a trattamenti dell’associazione Autism Speaks, le sovvenzioni che sono state approvate per importanti finanziamenti non comprendono ricerche su un approccio che è stato basato principalmente su un orientamento ABA, con esclusione di altre pratiche, dimostrando la priorità posta sull’ampliamento delle prospettive di trattamento. C’è così tanto ancora che dobbiamo imparare per sostenere i bambini e soggetti più grandi con ASD e le loro famiglie. Questa base di conoscenza che continua ad evolversi dovrà venire da persone con ASD, ricercatori, educatori, terapisti e genitori da una vasta gamma di orientamenti filosofici e di intervento. Non c’è più spazio per dichiarazioni infondate che vengono fatte con l’obiettivo di limitare la gamma potenziale di pratiche efficaci, o di “convincere” genitori o enti finanziatori che l’”ABA è l’unica strada”. Questo ha portato soltanto a liti costose, divisioni, sfiducia e confusione per genitori e consulenti. In alcuni casi, ha anche impedito la libertà di scelta per le famiglie, quando sono disponibili solo opzioni limitate di trattamento. E’ un disservizio per i bambini con ASD e le loro famiglie che queste dichiarazioni che sostengono pratiche ABA tradizionali continuino nonostante le prove e l’opinione di esperti riguardo i loro limiti. Per fare in modo che le pratiche di educazione e trattamento migliorino e per far sì che ci siano programmi veramente individualizzati per bambini e famiglie, le affermazioni che “solo un tipo di approccio funziona” devono cessare. Barry M. Prizant, Ph.D. Direttore Childhood Communication Services Professore aggiunto Centro per gli studi sullo sviluppo umano Brown University I miei più sinceri ringraziamenti alle quasi due dozzine di educatori, terapisti, amministratori e genitori che mi hanno fornito informazioni fondamentali per le precedenti stesure, che sono risultate in questa versione finale. Ho apprezzato tantissimo il loro incoraggiamento e il loro chiaro consenso al fatto che un tale documento fosse necessario per aiutare famiglie e consulenti. Un grazie speciale a Carol Gray, Karen Levine, Diane Twachtman-Cullen, Eve Mullen e Tony Maida per i loro commen- ti dettagliati e attenti. Riferimenti Koegel, R., and Koegel, L. (Eds.) (1995). Teaching children with autism. Baltimore, MD: Paul Brookes. Lord, C., Risi, S., DiLavore, P., Shulman, C., Thurm, A., & Pickles, A. (2006). Autism from two to nine. Archives of General Psychiatry, 63, 694-701. Lovaas (1987) Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 55, 3-9. McEachin, J.J., Smith, T., & Lovaas, O.I. (1993). Long-term outcome for children with autism who received early intensive behavioral treatment. American Journal on Mental Retardation, 97, 359-372. Myers, S. Johnson, C. Management of children with autism spectrum disorders. (2007). Pediatrics, 120, 1162-1182. National Research Council (2001). Educating children with autism. Committee on Educational Interventions for Children with Autism. Division of Behavioral and Social Sciences and Education. Washington, DC: National Academy Press. (www.nap.edu) Prizant, B.M. & Wetherby, A.M. (1998). Understanding the continuum of discrete-trial traditional behavioral to social-pragmatic, developmental approaches in communication enhancement for young children with ASD. Seminars in Speech and Language, 19, 329-353. 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- Psicologo Clinico e di Comunità - Psicoanalista Infantile - Psicoterapeuta specialista in infanzia adolescenza e famiglia - Ordinario e membro del comitato scientifico dell’A.I.P.P.I. - Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile - Tavistock Clinic di Londra, membro della sezione italiana European Federation of Psychoanalytic Psychotherapy (S.I.E.F.P.P.) e dell'Associazione dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Adolescente (A.G.I.P.Ps.A) - Socio dell’ Associazione Italiana di Gruppoanalisi “Il Cerchio” C.O.I.R.A.G. - Ricercatore nell'ambito dei disturbi dello spettro autistico  presso l' A.I.P.P.I. che collabora con il C.I.P.P.A. - Coordinamento Internazionale degli psicoterapeuti e psicoanalisti che si occupano di persone con autismo, che aderisce al progetto dell' Institut National de Santé et de Recherche Médicale (INSERM) per la valutazione dell’efficacia della psicoterapia psicoanalitica su pazienti affetti da disturbi dello spettro