mercoledì 30 agosto 2023

Quali benefici da una psicoterapia iniziata nella prima infanzia?

L'inizio di una psicoterapia in età infantile può essere estremamente importante per il benessere e lo sviluppo emotivo del bambino. Ecco alcuni motivi per cui può essere benefico iniziare una psicoterapia durante l'infanzia: Intervenire precocemente: L'inizio precoce della psicoterapia può aiutare a individuare e affrontare eventuali difficoltà o problemi emotivi che il bambinopotrebbe affrontare. Questo permette di intervenire tempestivamente per prevenire che tali problemi si intensifichino o si trasformino in disturbi più gravi. Sviluppo delle competenze emotive: La psicoterapia può fornire al bambino un ambiente sicuro in cui esplorare ed esprimere le proprie emozioni. Attraverso il lavoro con uno psicoterapeuta specializzato nell'infanzia, il bambino può imparare a comprendere e gestire le proprie emozioni in modo sano e adattivo, sviluppando così competenze emotive fondamentali per la crescita e il benessere. Miglioramento delle relazioni: La psicoterapia può aiutare il bambino a sviluppare competenze relazionali positive, migliorando la comunicazione e le interazioni con gli altri. Questo può essere particolarmente utile se il bambino sta affrontando difficoltà nelle relazioni familiari, amicali o scolastiche. Riduzione dei sintomi: La psicoterapia può aiutare a ridurre i sintomi associati a disturbi emotivi o comportamentali. Ad esempio, può essere efficace nel trattamento dell'ansia, della depressione, dell'ADHD o dei disturbi del comportamento. Affrontare tali sintomi in età infantile può favorire una migliore qualità di vita nel lungo termine. Promozione del benessere generale: La psicoterapia può contribuire a promuovere il benessere generale del bambino, supportandolo nel suo sviluppo emotivo, cognitivo e sociale. Può aiutare il bambino a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, una maggiore fiducia nelle proprie capacità e una visione più positiva di sé stesso e del mondo circostante.

lunedì 28 agosto 2023

Perché è importante investire nella psicoterapia infantile?

Investire nella psicoterapia infantile è fondamentale per diverse ragioni, molte delle quali hanno un impatto non solo sul singolo individuo ma anche sulla società nel suo complesso: Investimento a Lungo Termine: Intervenire tempestivamente sulle problematiche di un bambino può prevenire complicazioni più gravi in futuro. Questo significa minori costi associati a trattamenti sanitari a lungo termine e un miglior benessere generale dell'individuo nella sua vita adulta. Salute Pubblica: Le problematiche psicologiche non affrontate nell'infanzia possono tradursi in problemi di salute mentale nell'età adulta. Investendo nella psicoterapia infantile, si riduce il carico sulla sanità pubblica e sui servizi di assistenza sociale in futuro. Benefici Economici: Una società con individui mentalmente sani è più produttiva. L'assistenza ai bambini nelle prime fasi della vita può tradursi in adulti più produttivi, creativi e ben adattati. Prevenzione della Criminalità: Molti comportamenti antisociali e crimini possono avere radici in traumi infantili o problemi psicologici non risolti. Aiutare i bambini a superare questi problemi può ridurre la probabilità di comportamenti problematici in futuro. Educazione: I bambini con problemi psicologici possono avere difficoltà a concentrarsi a scuola o a interagire con coetanei e insegnanti. La psicoterapia può aiutarli a superare queste barriere, contribuendo a risultati accademici migliori. Dinamiche Familiari: Investire nella psicoterapia infantile può migliorare le dinamiche familiari, aiutando i genitori a comprendere e supportare meglio i loro figli e migliorando così la qualità della vita familiare. Riduzione dello Stigma: Investire nella psicoterapia infantile e promuovere la sua importanza può contribuire a ridurre lo stigma associato ai problemi di salute mentale, rendendo più facile per le famiglie cercare e accettare aiuto. Ricerca e Innovazione: Investire in questo campo può anche stimolare la ricerca, portando a migliori approcci terapeutici e a una migliore comprensione delle problematiche psicologiche infantili. Inclusione Sociale: La psicoterapia può aiutare i bambini che si sentono esclusi o emarginati a causa di problemi psicologici o comportamentali, promuovendo un senso di appartenenza e accettazione. Sostenibilità del Sistema Sanitario: Riducendo la necessità di interventi più invasivi o di lunga durata in futuro, l'investimento precoce nella psicoterapia infantile può contribuire alla sostenibilità dei sistemi sanitari. In sintesi, investire nella psicoterapia infantile non è solo una questione di benessere individuale ma ha implicazioni più ampie per la società nel suo complesso. Si tratta di una strategia proattiva che mira a costruire fondamenta solide per il futuro, con benefici che si estendono ben oltre l'infanzia.

sabato 15 gennaio 2022

“ Quale vaccino per la salute mentale?" Alcune ( modeste) osservazioni sulla destinazione di una parte del Budget , in conclusione del vertice mondiale sulla salute mentale di Parigi 2021 e in concomitanza alla presentazione del "Manifesto per la salute mentale "

La salute mentale, diversamente da altri comparti della medicina e della salute pubblica in generale, non richiede ingenti e sofisticate risorse strumentali. Oggi, la scelta di destinare delle risorse in specifici ambiti, piuttosto che in altri, ovviamente nel campo della salute mentale, fa notevolmente la differenza; Pensare esclusivamente in termini di organizzazione, strategie aziendali e o protocolli attuativi, può diventare un problema serio, sia per coloro che ricevono prestazioni sia per coloro che le erogano, se non valutato ( l’intero impianto) con attenzione e, prima di tutto, se non è doverosamente ancorato al bagaglio di esperienze e conoscenze teoriche, tecniche e cliniche acquisite fino ad ora ( da più di un centinaio d’anni ); Altresì, se non attentamente valutato ( interrogandosi spietatamente !!) in che modo un tipo di organizzazione è al servizio del paziente e non esclusivamente a favore ( in modo difensivo ) dello stesso Istituto. I noti avvenimenti di cronaca, che coinvolgono oramai spesso le istituzioni e le strutture sanitarie, dovrebbero indurre gli addetti ai lavori a volgere uno sguardo al passato - che non va negato in nome di un fantomatico e idealizzato futuro "iper scientifico" - dove non è relegato soltanto l’impietosa e lunga stagione manicomiale, ma dove si può attingere ad un ricco patrimonio fatto di notevoli contributi scientifici che attendono di essere sapientemente utilizzati. Faccio notare che, sebbene esista una vasta letteratura circa il rapporto tra ‘istituzione e salute mentale’, a partire dagli anni ‘70 , ( si legga per es. (1971). Rivista Psicoanal., (17)(1):67-81 "Approccio semeiologico all'istituzione psichiatrica" di Dario De Martis and Fausto Petrella ) capace di gettare un po’ di luce sull’ intrigante, articolato e poderoso complesso funzionamento mentale gruppale ( o di un organizzazione), non si sfrutta adeguatamente e ci si adagia all’uso di "modalità strategiche" spesso rassicuranti , però, disumanizzanti . Invece, essa se tradotta in prassi potrebbe fornire l’arma per fare una seria prevenzione ai conflitti, alle forti e gravi tensioni, che spesso si trasformano in atti di violenza, in una comunità , in reparti ospedalieri per pazienti psichiatrici etc! Ci si accorge, soltanto in queste occasioni, che i protocolli standard, le strategie superficialmente adottate, solo apparentemente tranquillizzanti, evaporano, perdendo dunque di consistenza, lasciando sgomento e miseria. Quando capita ciò, la domanda da porsi non dovrebbe essere : " ma cosa non ha funzionato da un vertice organizzativo …? Oppure " ma quale protocollo non è stato osservato? Ma, invece: "cosa è successo nella mente dell’ operatore sanitario o più di uno ( un gruppo) da spingere a perdere la necessaria sensibilità ricreando, inconsapevolmente e progressivamente, tutte quelle condizioni che hanno riprodotto un clima manicomiale?" Malgrado l’imperante necessità di affrontare la questione da un vertice psichico e soprattutto in una cornice interpersonale e intersoggettiva, la spiegazione di questi fenomeni, tuttavia, glissa e prende la stessa comune piega, ubbidendo ad uno " schema pre-stabilito", mostrandosi, e venendo accolta, per ciò che sembra ma non per ciò che è . Di solito (leggo) questi problemi sono attribuibili o riconducibili alla mancanza di fondi, ad aspetti di natura organizzativa ed altro. Può anche darsi che i motivi sono questi, ma, a mio avviso, ci andrei molto cauto ad attribuire tutto a questo ! Si trascura un elemento fondamentale ( che desidero mettere in risalto e suggerire ) che dovrebbe essere preso in seria considerazione, che potrebbe fare la differenza tra un buono e/o un cattivo funzionamento dell’istituzioni sanitarie che si occupano della salute mentale: la formazione dell’operatore sanitario. Gran parte del budget dovrebbe essere destinato soprattutto a quest’ambito. Una formazione assai diversa da quelle che notoriamente vengono , però, offerte e svolte. Parlo di un tipo di formazione ancora di "nicchia" per pochi perché ritenuta poco o per nulla importante dalle istituzioni ( tralascio altre motivazioni che risiedono a livelli più profondi) . Una formazione che ha come obiettivo la tutela della salute mentale dell’operatore sanitario e contemporaneamente dell’ assistito. Vengo al punto. Purtroppo, è ancora poco riconosciuto il ruolo fondamentale di un' analisi personale ( individuale e/o di gruppo). È ancora troppo ignorato che durante la relazione con i pazienti psichiatrici molto gravi vengono necessariamente attivate angosce psicotiche; se non sono affrontate in modo esaustivo attraverso l'analisi personale, possono creare confusione e provocare un blocco nella relazione, oltre che gravi tensioni e addirittura il crollo dell’ operatore sanitario . Questo tipo di paziente spesso proietta con violenza i propri sentimenti e problemi, e un operatore che tema tale contatto potrebbe a sua volta finire gravemente disturbato nel corso dei suoi tentativi di assisterlo. L'angoscia più frequente, anche se spesso inconscia, è quella di essere portato alla follia dal paziente. E per questo motivo che l' operatore deve sottoporsi a un'analisi personale particolarmente approfondita, il che ovviamente comporta la messa a nudo delle sue aree psicotiche, affinché le angosce e le difese psicotiche possano essere elaborate in misura sufficiente buona durante il periodo di formazione. Talvolta potrà rendersi necessaria anche una seconda analisi, una terza…. Se l’operatore ha conflitti psicotici scissi o repressi, pur sentendosi ottimamente a livello conscio, tenderà a essere insensibile o sulle difensive; inevitabilmente il paziente percepirà, consciamente o Inconsciamente, i disturbi presenti nell’operatore e reagirà di conseguenza o interagirà con essi. Esiste inoltre il pericolo che il contatto con pazienti gravi stimoli e attivi il conflitto latente nell’operatore. Per esempio, le tendenze a svolgere una funzione onnipotente e onnisciente possono essere notevolmente esasperate sfociando in forme di violenza. Dobbiamo renderci conto che, nel trattare questi pazienti (ancor più di quanto avvenga normalmente con altre psicopatologie meno gravi ), i principali strumenti di lavoro sono la nostra personalità , e perciò la nostra salute mentale è un fattore di estrema importanza sulla quale necessariamente bisogna investire. Solo in questo modo si può reagire al paziente con empatia, ma senza lasciarci coinvolgere eccessivamente, e mostrarsi sensibili, ricettivi, ma senza essere sopraffatti dalla sua proiezione. È fondamentale considerare ( aldilà dei diversi orientamenti e modelli di riferimento o delle diverse posizioni teoriche e, a volte, ideologiche ) l’analisi personale come una forma di protezione contro quegli " impetuosi, silenti e catastrofici movimenti emozionali " al pari ( considerato da un vertice biologico) della vaccinazione anti Covid alla quale tutti gli operatori sanitari devono sottoporsi per tutelare la propria e l’altrui salute fisica. Ultima nota. Se poi destinassimo grandissima parte del budget all’ infanzia, all’adolescenza e alla famiglia, mettendo in opera una massiccia capacità di prevenzione, potremmo addirittura evitare che una persona diventi un paziente psichiatrico , perché una delle psicopatologie più grave e severa , la psicosi, nasce proprio nella prima se non addirittura nella primissima infanzia. La destinazione delle risorse fa enormemente la differenza!

domenica 16 maggio 2021

“Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva Di Pasquale Califano*

“Tutte le strade portano alla psicoanalisi”. Il debito della psicologia cognitiva Di Pasquale Califano* "Chi accoglie un beneficio con animo grato paga la prima rata del suo debito" (Lucio Anneo Seneca) 1.Breve introduzione In un'intervista rilasciata non molto tempo fa al Centro di psicoanalisi Romano, Otto Kernberg, psicoanalista e professore di psichiatria al Weill Cornell Medical College, alla domanda dell’intervistatore riguardo alle sorti della psicoanalisi risponde: ” [...] la psicoanalisi ha avuto un impatto culturale che rimarrà ma sparirà come scienza e sparirà come professione o piuttosto le tecniche psicoanalitiche che sono state sviluppate saranno assorbite da altri orientamenti . Già oggi i terapeuti cognitivo comportamentali utilizzano tecniche orientate psicoanaliticamente, al posto dell’interpretazione parlano di mindfulness , al posto del transfert parlano della relazione , ma c’è un lento assorbimento e i dati potrebbero essere che la natura centripeta della psicoanalisi potrebbe ritrovarsi più in ciò cui ha contribuito professionalmente ma sarebbe diluita e questo è un peccato perché la psicoanalisi ha un enorme concezione tecnica quindi anche pratica . Le conseguenze pratiche sono molto importanti . Ricopre un ruolo unico , è una scienza unica . Deve essere sviluppata, è emozionante e importante , ma abbiamo un grande obiettivo [….]” Aristide Ronconi, nel suo contributo edito su “ Psychiatry on line italia”, rivista diretta da Francesco Bollorino, dal titolo “COGNITIVISMO E PSICOANALISI” cita A. Roth e P. Fonagy, (1997): “Attualmente c'è una certa convergenza tra i clinici che hanno avuto una formazione psicoanalitica e quelli i cui interessi riguardano principalmente le tecniche cognitivo comportamentali. Mentre questi ultimi vanno sempre più interessandosi ai processi non coscienti e all'impatto della relazione terapeutica, gli psicoanalisti si interessano alla natura delle rappresentazioni della conoscenza e al significato di fattori cognitivi che potrebbero render conto del lento progresso in psicoterapia". In questo articolo, il dottor Tronconi, traccia sinteticamente gli sviluppi della psicologia cognitivista a partire dai suoi primi passi in italia intorno agli anni ‘70. Indica l’evoluzione di questo approccio che ha radici nel comportamentismo e tenderebbe inevitabilmente, a mio avviso, verso la psicoanalisi. Tronconi, parla di convergenze con la psicoanalisi, mentre pare più corretto considerare uno sbocco quasi naturale in essa, cosa che in questo breve lavoro cercherò di dimostrare, in linea con la “profetica visione“ di Otto Kernberg. (Cit.) S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990).“ Nel 1972 veniva fondata a Roma, con sede presso l'Istituto di clinica psichiatrica diretta dal Prof. G. Reda, la Società italiana di terapia del comportamento. Due anni dopo, nel 1974, in occasione del Congresso di Londra della European Association of Behavior Therapy, la Sitc era ammessa a questa prestigiosa associazione europea. In occasione del primo Congresso nazionale del giugno del 1981 venivano apportate una serie di modifiche allo statuto e la denominazione diventava quella attuale: Società italiana di terapia comportamentale e cognitiva. Questo cambiamento nasceva dalla consapevolezza da parte di molti soci di un'evoluzione scientifica verso un approccio cognitivo [...] Così è nato il cognitivismo clinico in Italia: come un'evoluzione del comportamentismo”. Il dottor Tronconi, indica inoltre le motivazione di tale scelta, utilizzando le parole di chi ha vissuto quel periodo storico - alcuni dei quali fondatori della Società Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale (S.I.T.C.C.) - S. Bianco, V.F. Guidano, M.A. Reda, (1990) : ” Per quanto riguarda la nostra personale evoluzione, in una prima fase scientifica e clinica, i principi del corpus dottrinale della behavior therapy (Bandura 1969) sembravano soddisfare la dimensione metodologica che andavamo cercando, in quanto ci mettevano a disposizione metodi di osservazione e rilevazione dei dati clinici e di intervento terapeutico alternativi a quelli psicoanalitici o, in genere, a quelli tradizionalmente in uso negli ambienti accademici. Ci rivolgevamo all'individuo in termini di principi dell'apprendimento classico e operante, e consideravamo il comportamentismo umano alla stregua di un congegno di precisione regolato, passo dopo passo, dal gioco delle contingenze che le azioni acquistavano con l'ambiente circostante. Nonostante avessimo in breve tempo dei miglioramenti, ad un certo punto cominciammo ad avvertire uno spiacevole senso di discrepanza allorché tentavamo, usando la medesima impostazione teorica, di arrivare ad una spiegazione esauriente di quanto si era avuto modo di osservare durante la terapia. Inoltre, spesso, appariva chiaro che il miglioramento prodottosi era il risultato di atteggiamenti terapeutici non intenzionali o, comunque, non direttamente connessi con la strategia che si stava portando avanti; avevamo la sensazione di operare con modalità che non conoscevamo, su meccanismi cruciali del paziente che non eravamo in grado di descrivere. Mettendo a fuoco il nostro disagio dovuto alla discrepanza fra i risultati ottenuti e il limitato potere esplicativo dei principi dell'apprendimento, diventava sempre più chiaro che attività cognitive quali le aspettative, la memoria, il pensiero, ecc... dovevano svolgere un ruolo cruciale nel mediare la risposta comportamentale allo stimolo ambientale" Infine, sempre nel medesimo articolo, sono riportate le parole di B. Bara (1996) tratte dal “ secondo capitolo del Manuale di psicoterapia cognitiva, dedicato al terapeuta cognitivo”, e prospetta, l’inevitabile impostazione psicoanalitica nell’orientamento cognitivista "Considereremo come psicoterapia un'integrazione di cognizioni ed emozioni, rivolta all'obiettivo di raggiungere e mantenere un consapevole equilibrio dinamico, e ottenuta grazie alla relazione fra terapeuta e paziente[...]Gran parte del cambiamento interno consiste in quella che possiamo chiamare accettazione di sé, che ancora una volta coinvolge sia la sfera cognitiva che quella emotiva. Il paziente tende a vivere la parte di sé sofferente, o malata, come una sorta di orrore da dimenticare, o di nemico da eliminare, possibilmente in modo definitivo [...] Si tratta di riuscire a cogliere come ogni nostro aspetto ci appartenga, ogni nostro diverso Sé sia costitutivo della nostra persona, al di là della sua attuale adeguatezza[...] Un terapeuta troppo desideroso di guarire gli altri può penalizzare i pazienti che insistono nel loro star male, perché non migliorano in modo corrispondente ai suoi sforzi e alle sue aspettative. Così facendo li priva della possibilità di vivere un affetto incondizionato, esperienza di infinito valore umano che i figli sempre donano ai genitori, e i genitori solo talvolta concedono ai figli: ti amo al di là di quel che fai, solo per quel che sei. Per un paziente è prezioso sentire che il suo terapeuta non lo allontana, colpevolizzandosi e colpevolizzandolo, se la sua sofferenza perdura o peggiora, ma gli permette invece di essere com'è. Una buona psicoterapia comporta piena accettazione dell'altro nell'interezza della sua persona [...] Va sottolineato il fatto che l'organizzazione del paziente si è strutturata intorno a eventi in primo luogo emotivi, quali sono le condizioni di attaccamento-accudimento in cui si è trovato a vivere. Perché tali strutture emozionali profonde e antiche possano modificarsi, la persona deve trovarsi in una situazione di mobilizzazione emotiva[...] Un ragionevole livello di indefinitezza della figura del terapeuta permette al paziente di esprimere più compiutamente i propri schemi, sia quelli irrigiditi dalla nevrosi che quelli man mano più elastici della guarigione [...] Il paziente può così attribuire al terapeuta credenze ed emozioni caratteristiche di un ruolo usuale all'interno di un proprio gioco[...] Al paziente è quindi consentito essere aggressivo o seduttivo, ma il terapeuta non può mai lasciarsi andare a simili aperture emotive. Un eccellente strumento è ancora una volta l'interpretazione relazionale, che permette di non prendere alla lettera aggressioni o seduzioni, ma di rileggerle come aventi un altro significato, relativo ai ruoli giocati[...] C'è una fatica emotiva caratteristica, e consiste nell'entrare in relazione genuina con ciascun paziente, ogni volta esponendo se stesso a un contatto che si può rivelare improvvisamente doloroso[...] Una certa quantità di fatica psichica è comunque indissolubile dall'essere terapeuta: eliminandola si elimina la qualità profonda di una psicoterapia". Questi brevi stralci riportati sopra e le parole di Kernberg con ragionevole certezza indicano gli sviluppi o la via che la psicologia cognitiva ha intrapreso, facendone presagire, anche se in modo neppur tanto velato, che le operazioni di "assorbimento" siamo già in atto, che siano ancora più profonde e per lo più inconsce. La psicoanalisi pare che non riesca a sottrarsi, oggi più che mai, ad una condizione che definirei "Teodosiana". Teodosio II nel novembre del 435 comanda che, se c’è ancora un solo tempio pagano non distrutto, sia trasformato in chiesa cristiana. Secondo alcune fonti storiche, la spesa costosissima per lo Stato che doveva pagare il trasporto e il lavoro di centinaia di operai impiegati per lo smantellamento degli edifici pagani, così come non era una decisione saggia lasciare chiusi locali, spesso grandissimi (templi, atri, abitazioni dei sacerdoti, boschetti sacri) senza trarne alcun beneficio pubblico, si decise dunque, che sarebbero stati adattati, con qualche ritocco architettonico, ad una nuova destinazione: così si trasformarono i templi antichi in chiese per il nuovo culto cristiano, soltanto dopo, però, essere stati purificati e liberati da presenze demoniache. Tuttavia, ad un'analisi più approfondita, c'è da concludere che il culto cristiano aveva assorbito molti delle cerimonie pagane e quindi ne risultava solamente un'operazione di superficie. L'incipit teodosiano, indica la direzione di questo scritto che ha prevalentemente lo scopo di ristabilire la paternità di alcuni concetti teorici e clinici della psicoanalisi, soppiantati, anche un po' impropriamente ( e ancora non propriamente riconosciuti) da quelli cognitivisti. Svolgere un'opera di “svelamento”, attraverso un'operazione fenomenologica, rendendo visibile ‘un impianto metapsicologico' comune ad entrambi gli indirizzi, che dimostri che l'edificio della psicologia cognitiva è stato eretto sul "tempio" della psicoanalisi. Tuttavia, poiché, non è possibile in questa sede prendere in considerazione tutti i differenti approcci della psicologia cognitiva, che sono circa una ventina, mi limiterò a porre l'attenzione su uno di essi. È mia intenzione, pertanto, prima, tentare di descrivere succintamente e poi riflettere su un nucleo comune tanto alla psicoanalisi quanto alla psicologia cognitivo- evoluzionista, partendo proprio da quest’ultima, poiché è un orientamento che appare dotato di un forte potere integrativo rispetto alle diverse teorie – cognitiviste, relazionali, psicoanalitiche – della psicopatologia e della psicoterapia ( Bowlby, 1969; Edelman, 1992; Liotti, 1994), e più precisamente ponendo particolare attenzione su tre aspetti da me ritenuti cardine che costituiscono “l'ossatura o l’impianto comune” ( o struttura): 1. L’impianto che caratterizza la comunicazione: 2. L’impianto che media la relazione interpersonale e che caratterizza l’esperienza soggettiva; 3. L’impianto che consente lo sviluppo della mente. 2. Breve disamina della teoria cognitivo - evoluzionista: comunicazione, mediazione e sviluppo della mente La psicologia evoluzionista sviluppa le sue teorie tenendo conto di un presupposto fondamentale e cioè che la struttura essenziale della mente umana è un prodotto della natura, frutto di un lungo processo evolutivo. Da questo processo evolutivo, la mente umana ha sviluppato sia la capacità e forme basilari di relazione affettiva (Bowlby, 1969) sia la capacità e forme basilari di elaborazione cognitiva e linguistica della conoscenza ( Baron – Cohen, 1995). Tuttavia, la psicologia evoluzionista non afferma che la mente umana sia determinata da vie innate – poiché ciò la ingabbierebbe in modello medico – genetico - ma da disposizioni innate che consentono che essa sia modificabile dai processi di apprendimento. Alcune di queste disposizioni innate sono alla base di ogni relazione umana ( Liotti, 1994). Le forme fondamentali in base alle quali ogni relazione umana può costituirsi - inclusa quella terapeutica - sono state studiate dagli etologi attraverso l’osservazione comparata del comportamento sociale nelle più diverse specie animali e possono essere così elencate: Interazioni definite dalla richiesta – offerta di cura, protezione e conforto - (attaccamento – accadimento); Interazioni il cui fine è la definizione del rango sociale di dominanza o di sottomissione (interazioni competitive o agonistiche); Interazioni di corteggiamento e accoppiamento sessuale; Interazioni cooperative in vista del conseguimento di un obiettivo congiunto. Secondo il modello evoluzionista per ciascuna forma basilare di interazione esiste un sistema di regolazione o controllo, su base innata che organizza sia l’esperienza soggettiva sia il comportamento osservabile in rapporto ad una precisa meta relazionale. Essendo i sistemi di regolazione o controllo interpersonali equiparabili, per funzioni, a sistemi fisiologici – come ad esempio la pressione arteriosa, la temperatura corporea ecc.- è possibile identificare le condizioni che attivano e disattivano ciascun sistema e le varie fasi di tale attività, considerate in funzione delle vicissitudine della relazione. Quindi, facendo qualche esempio: a. il sistema di attaccamento è attivato da stati mentali di sofferenza, fatica e pericolo e cessa quando l’individuo consegue una vicinanza protettiva di un conspecifico (figura d’attaccamento) capace di fornire conforto e aiuto. Nelle varie fasi di questa attività, il sistema d’attaccamento genera ed organizza emozioni e condotte in funzione alle diverse modalità di interazioni: quando la figura di attaccamento si allontana o non risponde alla richiesta, il soggetto reagisce con protesta, collera, tristezza ed ansia di separazione; mentre quando c’è risposta, l’individuo reagisce con gioia e sicurezza attraverso il ricongiungimento ad essa per il conseguimento dell’obiettivo; b. Il sistema agonistico tende ad attivarsi di fronte ad una risorsa e ad un bene limitato ( ad esempio due fratelli che rivendicano attenzione dal genitore, percepita come una risorsa limitata) con segnali iniziali visibili come la postura aggressiva, l’ espressione mimiche minacciose, tanto da attivare nell’altro un sistema antagonista. Nelle varie fasi di attività si succedono diverse emozioni: collera, competitività, paura di essere danneggiati, vergogna ed umiliazione che si presentano durante l’emissione di segnali di resa, tristezza per la sconfitta o viceversa sentimento d’orgoglioso trionfo nel caso di una vittoria. Entrambi gli esempi mostrano un aspetto molto interessante e cioè un “incastro interagente strutturale”: all’operare di un sistema in un individuo si attiva lo stesso sistema nel soggetto interagente. In definitiva, si può constatare che i sistemi motivazionali interpersonali tendono, per ragione innate, a sintonizzarsi tra gli individui interagenti. Questa ipotesi risulta assai interessante sia da un punto di vista teorico -clinico sia perché essa è capace di accostarsi ad elementi comuni tra i diversi modelli teorici. Infatti, questo “incastro strutturale” corrisponde sia alle classiche operazioni di ricerca dell’empatia che trova conferma anche nell’ambito delle neuroscienze con i neuroni specchio, sia a quei fenomeni che nella letteratura psicoanalitica kleniana e bioniana sono descritti come aspetti dell’identificazione proiettiva. Oltre all’esistenza di sistemi motivazionale interpersonale, la psicologia cognitivo – evoluzionista introduce nelle sua architettura teorica un concetto mutuato dalla teoria dell’attaccamento: i modelli operativi interni. I modelli operativi interni o schemi cognitivi interpersonali sono costruiti da ciascun individuo nel corso di precedenti interazioni regolate dal sistema motivazionale interpersonale in quel momento attivo. Gli schemi cognitivi interpersonali derivanti dalle esperienze di attaccamento si formano per primi, rispetto agli altri derivanti da esperienze di competizione, cooperazione e sessualità. Quest’ ultimi entrano in funzione successivamente quando la maturazione lo permette e dovranno essere assimilati almeno parzialmente dagli schemi cognitivi interpersonali relativi all’attaccamento: il sistema motivazionale sessuale, pur essendo come gli altri innato, dovrà attendere addirittura l’adolescenza per divenire pienamente operativo. In un'ottica evoluzionista, la psicopatologia sembra essere definita tenendo conto sia del primato organizzativo degli schemi cognitivi interpersonali e sia dalla qualità della relazione interpersonale che sta alla base della costruzione dei modelli operativi interni. La psicologia evoluzionista, infatti, è in pieno accordo con studi che dimostrerebbero che i bambini che crescono all’interno di relazioni interpersonali caratterizzate dall’attaccamento sicuro riescono a superare il test della << della falsa credenza >> prima di quelli che si sviluppano all’interno di attaccamenti insicuri ( Fonagy, 1997). Secondo Baron- Cohen ( 1995), il superamento del test della falsa credenza indica che il bambino ha sviluppato una << teoria della mente>> e cioè la capacità di immaginare cosa stia avvenendo nella mente di un altro essere umano . Lo sviluppo della << teoria della mente>> dell’altro è pressoché sinonimo di sviluppo della coscienza dato che è opera di quest’ultima immaginare i contenuti dell’esperienza soggettiva di un altro essere umano. Ciò che emerge da questa prima parte, e che io volutamente ho messo in risalto e che la psicologia cognitivo – evoluzionista organizza il suo apparato teorico aderendo, anche se con un linguaggio diverso, ai tre “impianti“ sopra citati, che è possiamo così tradurre e schematizzare : La sincronicità di sistemi motivazionali interpersonali interagenti tra soggetti; I modelli operativi interni quale realtà interna soggettiva; Una teoria della mente alla base dello sviluppo e della salute mentale. In che modo questi tre costrutti sono equiparabili ai concetti psicoanalitici? Vorrei adesso tentare di trovare aspetti similari che mettono a confronto i tre costrutti sopraindicati con alcuni concetti psicoanalitici. 3. Analogie tra << l’incastro interagente strutturarle>> in psicologia cognitivo evoluzionista e la sensibilità e il rispecchiamento materno in psicoanalisi Nelle formulazioni psicoanalitiche la sensibilità è di solito considerata nei termini delle conseguenze che ha, del suo impatto organizzativo sullo sviluppo del Sé del bambino. Tra queste concettualizzazioni c’è anche una considerevole eterogeneità. Nelle formulazioni kleniana e post- kleniana l’accudimento sensibile fa riferimento ad un genitore capace di assorbire e ritrasmettere in una forma “ metabolizzata” ( Bion, 1976b) l’esperienza psicologica dell’infante. L’infante può accettare e reinteriorizzare ciò che è stato proiettato e quindi trasformato, creandosi così una rappresentazione tollerabile di questi momenti interni d’interazione con il caregiver. Il meccanismo che permette questa sofisticata forma di comunicazione tra l’infante e la madre è definito, come già ho indicato sopra, identificazione proiettiva. La natura non-verbale di questo processo implica che la vicinanza fisica del caregiver è essenziale. Winnicott (1956), in un modo leggermente diverso da Bion, afferma che il bambino, quando guarda il volto della madre che rispecchia il suo stato, scopre il suo Sé. Di conseguenza, la funzione di specchio della madre è ritenuta indispensabile per lo stabilirsi della rappresentazione di sé nell’infante. In “Infanzia e società “ (1950), Erikson ritiene che ci sia bisogno di un bilanciamento tra il positivo e il negativo e che se la bilancia pende di più verso il positivo allora si può sperare di affrontare le crisi successive del bambino con maggiori possibilità di uno sviluppo sano. Allo stesso modo, la non intrusività del genitore è considerata da Erikson come la capacità della madre di non avere un controllo eccessivo sull’interazione. La sincronia interattiva è probabilmente equivalente alla descrizione di Erikson della << reciprocità o regolazione reciproca >>. In definitiva, sono molti a sostenere che una relazione ben regolata con il caregiver, in altre parole un “ incastro interagente strutturale “ - parafrasando i teorici della psicologia cognitivo evoluzionista - determina un senso del Sé autonomo e robusto. 4.Quali similitudini tra i modelli operativi interni e il << mondo interno>>? Se la psicologia cognitivo - evoluzionista da un valore teorico e clinico ai modelli operativi interni, mutuati dalla teoria dell’attaccamento, allora deve inevitabilmente presupporre che essi siano in qualche modo equiparabili al mondo interno descritto e spiegato dalla psicoanalisi o perlomeno da molto delle sue correnti. Nel 1976 kernberg criticò apertamente Bowlby , perché secondo lui, non aveva considerato il << mondo interno>> e che in certo qual modo aveva trascurato “ gli istinti come sviluppi intrapsichici e le relazione oggettuali interiorizzate come fondamentali organizzatori strutturali della realtà psichica”. Questa critica qualche anno dopo fu considerata del tutto ingiustificata da Fonagy che sostenne che sarebbe stato più corretto da parte di kernberg se avesse detto che Bowlby aveva una concezione del <> differente dalla propria. Infatti, per fare qualche esempio, Bowlby, come lo stesso Freud, riconosce che l’angoscia è un esperienza epifenomenica, biologicamente determinata, connessa alle esperienze di pericoli tanto interni quanto esterni, il prototipo psicologico dei quali è la perdita dell’oggetto. Forse, Bowlby, è stato frainteso perché ha posto l’ attenzione sui fattori patogeni interpersonali più che su quelli intrapsichici, cosa che fu fatta, tra l’altro, anche dallo psicoanalista ungherese Ferenczi (1933) che si concentrò sulla natura potenzialmente traumatica del fallimento degli adulti nel comprendere i significati del mondo psicologico del bambino, anticipando i rischi associati a una mancanza di sensibilità da parte degli oggetti primari. Studi recenti danno ragione a Fonagy : << più recentemente, abbiamo tentato di dimostrare che le costanti transgenerazionali nella classificazione dell’attaccamento possono essere comprese come interiorizzazione delle difese mobilitate nel caregiver dall’angoscia dell’infante >> ( Fonagy et al., 1995°). In definitiva, possiamo dire che tanto la teoria dell’attaccamento quanto la psicoanalisi moderna hanno come fondamentale obiettivo epistemico la descrizione dei meccanismi interni responsabili della discrepanza fra realtà materiale e realtà psichica, così come il principio fondamentale di entrambe è quello per cui la percezione e l’esperienza sociale sono distorte da aspettative sia consce che inconsce. 5. L’importanza della mentalizzazione o metacognizione nella psicologia cognitivo - evoluzionista, nella teoria dell’attaccamento e nella psicoanalisi Il contributo più interessante che l’orientamento evoluzionista ha dato alla psicologia, secondo Liotti, è l’aver formulato un insieme di argomenti che suggeriscono come la coscienza si sia evoluta con la funzione di mantenere e sviluppare ulteriormente la comunicazione sociale una volta che questa aveva raggiunto la notevole complessità osservabile nei gruppi di primati ( Liotti, 1994, 1996 c) . Liotti si esprime in questo modo: “ se questo asserto della psicologia evoluzionista è corretto, dovrebbe essere possibile definire quali caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali siano correlati a quei livelli ottimali di prestazioni coscienti che, nel processo psicoterapeutico, sono stati descritti come insight, abilità di decentramento o distancing, capacità di assumere il punto di vista dell’altro, e libertà di richiamare alla coscienza episodi del passato anche dolorosi”. In questo brevissimo stralcio, l’autore sostiene che esiste uno strettissimo collegamento, ormai più che provato, tra qualità della relazione interpersonale e prestazioni coscienti. Infatti, oggi sappiamo che l’attaccamento sicuro è un buon predittore della capacità matacognitiva nell’ambito della memoria, della comprensione e della comunicazione. Sappiamo anche che la comprensione che il caregiver ha della mente del bambino incoraggia l’attaccamento sicuro, così come l’accurata lettura che il caregiver fa dello stato mentale dell’infante, favorisce in quest’ultimo la simbolizzazione del proprio stato interiore, determinando una migliore regolazione affettiva. Facendo un’attenta analisi dei testi freudiani, scopriamo che la nozione di funzione riflessiva o mentalizzazione è presente nel corpus freudiano già dal 1911 con il termine Bindung o legame che si riferisce al passaggio o meglio a un mutamento qualitativo da un tipo di legame fisico (immediato) a uno di tipo psicologico (associativo). In seguito, Melanie Klein nel descrivere la posizione depressiva sottolinea come essa necessariamente implichi il riconoscimento del danno e della sofferenza presente nell’altro, che è poi consapevolezza di uno stato mentale. In Bion, invece, è cruciale la capacità materna di contenere il bambino e rispondergli, in termine di cure fisiche, in un modo, però, che dimostri la sua consapevolezza dello stato mentale del piccolo, ma anche capace di farvi fronte con la riflessione: un rispecchiamento dell’angoscia mentre si comunica uno stato affettivo incompatibile con essa. Infine, Winnicott si è avvicinato molto alle idee della teoria dell’attaccamento e in particolar modo quando afferma che la comprensione che il caregiver ha dell’infante e d’importanza fondamentale per far emergere il vero Sé. Così, anticipando le idee della psicologia evoluzionista e della teoria dell’attaccamento, la psicoanalisi ha sempre ritenuto la nozione di una consapevolezza implicita, riflessiva, astratta acquisita intersoggettivamente, il fulcro attorno al quale si sviluppa il Sé. Conclusione In questo brevissimo scritto sono stati isolati ed esaminati - così come farebbe un biologo di fronte ad una sostanza da analizzare - i concetti chiave che caratterizzano l’orientamento della psicologia cognitivo – evoluzionista e cioè i sistemi motivazionali interpersonali, i modelli operativi interni e la coscienza, elemento principe che caratterizza lo sviluppo della mente. È stata mia intenzione dimostrare che gli stessi concetti anche se con denominazione diversa sono ravvisabili nelle diverse formulazioni emersi dallo studio psicoanalitico freudiano, kleniano, post – kleniano e degli indipendentisti inglesi in epoca precedente. Di fatto ciò avvalora ancor più la tesi che la psicoanalisi sta vivendo un nuovo periodo definitivo da me "Teodosiano". (*) Psicoterapeuta e psicoanalista infantile, membro ordinario dell’associazione italiana di psicoterapia psicoanalitica dell’infanzia e dell’adolescenza Bibliografia essenziale Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J. (1999), Teoria della mente e autismo. Insegnare a comprendere gli stati psichici dell’altro. ed. Centro Studi Erikson Bion, WR (1996). Cogitations – pensieri. Edizione Armando, Roma Bowlby J. ( 2000). Attaccamento e perdita. Ed. Bollati Boringhieri. Camillo Loriedo,Walter Santilli (2000). La relazione terapeutica. Ed. Franco Angeli, Milano. Erikson, H. Erik ( 2008 Rist.). Infanzia e Società. Ed. Armando. Roma Fonagy P., Target M. ( 2001). Attaccamento e funzione riflessiva. Ed. Cortina Raffaello Freud S. (1925), Inibizione, sintomo e angoscia. OSF, vol. X. Freud S. (1922), L'Io e l'Es. OSF, vol. IX. Lalla C. ( 1996). Verso una sintesi fra cognitivismo e psicoanalisi: teoria e tecnica del lavoro psicoterapeutico. Ed. Franco Angeli, Milano. Liotti G. (2005), La dimensione interpersonale della coscienza. Ed. Carocci Mancarella, A. ( 2010). Evoluzionismo, darwinismo e marxismo. Gruppo editoriale Tangram SRL Klein M. ( 2006), Note sul alcuni meccanismi schizoidi 1946 - in Melanie Klein scritti 1921–1958. Ed. B. Boringhieri. Klein M. ( 1998), La psicoanalisi dei bambini. Ed. Psycho G. Martinelli & C. Firenze Winnicott D. W. ( 2007 Rist.). Lo sviluppo affettivo e ambiente. Studi sulla teoria dello sviluppo affettivo. Ed. Armando. Roma.

venerdì 6 novembre 2020

Alcune dritte per fare prevenzione alla salute psichica

Per fare una buona e attenta prevenzione al disagio psicologico in età pediatrica , e non solo, è assolutamente fondamentale fare un distinguo tra sintomo medico e sintomo psichico. Il sintomo medico, è Il segno che qualifica un tipo di ragionamento logico che permette di collegare un elemento, per esempio, un dato diagnostico con uno stato morboso. In patologia medica, più il segno è univoco, più è operativo, perché permette di individuare più facilmente la malattia di cui è indice. Le cose sono molto diverse quando ci si occupa del sintomo psichico. Oggi, grazie a due fondamentali scoperte di Freud sappiamo come "guardarlo" ed eventualmente come trattarlo. La prima è la scoperta che il sintomo, da indice, ossia da segno logico, diventa un segno linguistico. Fondamentalmente, il sintomo di cui soffre la persona ( indipendentemente dall’ età) "parla" (vuol dire qualcosa) è un messaggio, anche se per il soggetto il suo significato rimane ignoto, sconosciuto, rimosso, dirà Freud. La seconda scoperta Freud l'ha fatta grazie alle isteriche che si lamentavano di sintomi somatici, che erano scollegati però con la realtà degli organi: si comportavano come se l'anatomia non esistesse. In sintesi, da una parte quindi il sintomo psichico non ha necessariamente un legame reale con l'organismo e dall'altra il sintomo è dotato di senso, di un senso però non consapevole . Lacan dirà poi che il sintomo si forma come un'operazione di linguaggio e cioè come una metafora. Abbiamo una metafora quando un significante viene sostituito da un altro significante e questa sostituzione ha come effetto per esempio la creazione di un senso nuovo. Che cosa ne ricaviamo dagli insegnamenti di Freud, Lacan ed altri? Come i loro insegnamenti possono essere usati per fare prevenzione? Quali errori il clinico può evitare? Alcune brevi considerazioni: 1. Se il sintomo è una metafora dobbiamo allora considerare il suo aspetto "camaleontico " che ci suggerisce e deve metterci in guardia che esso può presentarsi in diverse forme. Altresì bisogna essere cauti e non esultare subito quando all’inizio di un percorso terapeutico il sintomo scompare magicamente poiché non indica affatto una risoluzione del problema ma solo un probabile "spostamento" 2. Lo spostamento ci porta a due corollari a. Che il sintomo può presentarsi in una forma in età infantile e ripresentarsi in un’altra forma in seguito, in adolescenza , se il clinico non è stato abbastanza attento quando ha avuto la possibilità di occuparsene. b. Che non si caratterizza per la sua univocità come in molti casi lo è per il sintomo medico ( come detto sopra); 3. Un ostacolo alla prevenzione, è la ‘banalizzazione del sintomo’ che è un operazione rassicurante per il genitore e a volte per il medico ma che alla fine porta a pagare un prezzo molto salato. Infatti è accertato clinicamente che dietro un " sintomo banale" in età pediatrica può nascondersi un quadro psicopatologico molto grave che spesso si manifesta durante l’adolescenza. Solo per fare un esempio, dietro una fobia può esserci una psicosi che esordirà quando ci saranno alcune particolari condizioni in futuro. Quali suggerimenti mi sento di dare, in ordine sparso: 1. Evitiamo di banalizzare il sintomo; 2 Approfondiamo sempre il sintomo per comprendere cosa c’è dietro e come si collega all’intero funzionamento psichico della persona, bambino o giovane adulto che essa sia. 3. È fondamentale intervenire precocemente; 4 . Non bisogna fidarsi assolutamente se il sintomo scompare spontaneamente e/o tantomeno dopo una breve consultazione psicologica perché come si dice dalle mie parti " gatta ci cova". Poche indicazioni per fare bene e meglio. Buona prevenzione a tutti!

domenica 13 settembre 2020

QUANDO IL CIELO NON TOCCHERÀ PIÙ LA TERRA O IL MARE: I NUOVI NATI E L'ESPERIENZA CONTRA NATURAM DA COVID-19

di Pasquale Califano http://www.psychiatryonline.it/node/8700 I neonati di tartaruga sono abili fin dalla nascita. Per uscire dal guscio utilizzano il "dente da uovo" che verrà poi riassorbito in un paio di settimane. Una volta usciti, sono impegnati dai due ai sette giorni per scavare lo strato di sabbia che copre il nido e raggiungere la superficie. In genere, ciò avviene col calare della sera e, immediatamente dopo, essi si dirigono, in condizioni normali, verso il mare. Appena nato, il piccolo di tartaruga segue un programma biologico che attiva la ricerca, in modo automatico, della fonte più luminosa in un arco sull'orizzonte di 15 gradi. Questa condizione è rappresentata dall'orizzonte marino su cui luna e/o stelle si riflettono. Purtroppo, a volte, capita, a causa di una concentrazione di luci artificiali, che i piccoli si disorientano e deviano dal naturale cammino, "smarriscono la strada" fino a determinare talora, in alcune occasioni, la perdita di tutta la nidiata. Così come i piccoli di tartaruga, anche i nuovi nati dell'uomo, dalla nascita, sono amorevolmente inclini ad andare verso "l'orizzonte materno" ma, come in tutte le avventure della vita, i pericoli non mancano e a volte è facile deviare da un "buon incontro" . La questione che vorrei affrontare, in questo breve articolo, nasce da un interrogativo: alla luce delle scoperte fatte nell'ambito della psicologia infantile, e degli inevitabili mutamenti nella relazione interpersonale tra madre-neonato, nella fase primaria della vita, a causa del covid-19, si sta seriamente valutando se le ultime indicazioni del Ministero della Salute in materia possano recare danni psicologici alla coppia madre/neonato? A partire dagli anni sessanta, la concezione che si ha dei neonati muta straordinariamente, la percezione cambia radicalmente, si aprono nuove frontiere alla loro conoscenza e si scopre che essi non sono "attivati" dalla madre ma da una primaria attività endogena che deve coordinarsi con quella materna, ossia, in armonia con una delle funzioni base del cervello di scoprire e ordinare le informazioni, sono spinti da una motivazione intrinseca a ciò, e sono automotivati a scoprire le regolarità, a generare aspettative ed agire in base ad esse. (L. Sander, 1977). Prende forma una nuova e diversa concettualizzazione, il neonato è visto come parte attiva nel rapporto con la madre , nei termini di un "sistema diadico". Questa nuova prospettiva paradigmatica obbliga gli studiosi - tutti di formazione psicoanalitica (Beatrice Beebe, Daniel Stern, Allan Schore, Alan Fogel, Joseph Lichtenberg, Colwyn Trevarthan, Edward Tronick e Louis Sander) - a ideare metodiche adatte ad osservare empiricamente la relazione simultanea tra madre e bebè, impegnati nella regolazione del rapporto interpersonale. Prendono forma studi e ricerche che confluiranno nell'infant research; attraverso le lenti di questo paradigma scientifico si guarda ad un "neonato interattivo". Alla fine degli anni '70, i ricercatori infantili, usando analisi frame-by-frame e split-screen delle interazioni videoregistrate tra neonati e madri, sono in grado di descrivere la natura di queste interazioni. Vengono pubblicati articoli scientifici nei quali sono descritte le incredibili capacità che posseggono i neonati, immediatamente alla nascita, nell'interagire con la madre. Se adagiati pelle contro pelle sul suo addome, sotto al seno, poco dopo la nascita, rimangono serenamente in uno stato vigile per 20-30 minuti, poi iniziano una sequenza, (uguale per tutti), che comincia con lo schioccare delle labbra e poi con il perdere la saliva ( bava) dalla bocca. Si muovono in avanti verso il seno non lavato, la testa si gira da una parte all'altra, fanno rimbalzare il naso sul seno, spostandosi verso il capezzolo, aprono così abbondantemente la bocca quando è vicino, strofinandolo in modo che l'areola diventi gonfia, tirano dentro profondamente il capezzolo in una posizione che è ottimale per iniziare la poppata. Se questa sequenza, che porta alla poppata, ha inizio entro la mezz'ora dopo la nascita, avviene, straordinariamente, una secrezione di ossitocina che determina una vasocostrizione nella madre che ha la funzione di controllare l'emorragia postpartum e ridurre il dolore. La secrezione di ossitocina, così stimolata, avviene dentro la matrice intercellulare del cervello, tanto che le iniezioni di ossitocina da sole non producono gli stessi effetti. Si comprende che l'effetto sulla madre, nello sperimentare la competenza innata del neonato, è assai notevole, con diversi riverberi psico-fisiologici. È tale, la sua capacità innata da comunicare quanto è vero che il suo bambino è un essere agente, che sa iniziare la propria autoregolazione e la propria auto-organizzazione, un elemento cruciale nell'iniziare il processo di differenziazione che sarà "negoziato" nei mesi a venire (Lachmann, Jaffe, 1997) L'infant research mette in risalto le incredibili capacità innate mai supposte prima nel neonato, che possono essere colte nel primo anno di vita: percepiscono caratteristiche, le traducono in modalità amodali, riconoscono se la madre sta agendo in concordanza con loro oppure no e possono dire se gli schemi di comportamento sono simili o no; sviluppano aspettative in relazione a questi schemi, li ricordano e li categorizzano. Anche se l'elenco delle capacità espresse, documentate agli inizi della vita sono ormai note, preferisco rammentarne qualcun'altra. È noto che sanno apprendere già dalla vita intrauterina, riescono ad individuare i caratteri di una superficie anche se l'hanno soltanto toccata, sanno distinguere la voce, l'odore, il volto della madre, così come sono in grado di discriminare la madre dagli altri riconoscendone le vocalizzazioni ecc. Per dimostrare tutte queste stupefacenti competenze appena indicate, i nuovi nati sono stati sottoposti a degli esperimenti ed anche se non sanno rispondere direttamente alle domande degli sperimentatori, per ovvi motivi, sono riusciti a farsi comprendere. Ad esempio, "è stato chiesto", a soli tre giorni dalla nascita, di distinguere l'odore del latte della madre, ponendo a un lato della testa dei tamponi impregnati dell'odore del suo seno e all'altro lato della testa dei tamponi impregnati dell'odore del seno di altre mamme che allattavano. Con grande sorpresa dello sperimentatore, immagino, essi giravamo la testa verso il tampone della mamma, riuscendo così a rispondere indirettamente che preferivano stare con la mamma e che sapevano distinguere l'odore del suo latte. Un filone di ricerca ancora in auge e pertanto fecondo riguarda la voce della madre. I bebè mostrano un irresistibile passione per la prosodia del maternese. (Marie-Christine Laznik, 2012). Per chi non lo sapesse, il maternese o motherese è la lingua che tutte Ie madri del mondo usano per parlare con i neonati. Qualcuno, negli ultimi anni, ha pensato che sarebbe meglio dire "parentese" perché anche i papà la usano. Sicuramente, qualche volta vi sarà capitato di udirlo. Sul piano prosodico il maternese si caratterizza per un registro della voce più elevato di quello solito, una gamma ristretta di contorni intonativi - ma dalle modulazioni e variazioni di altezza molto esagerate - di forme melodiche lunghe, dolci e con ampie escursioni. L'effetto prosodico è amplificato dalla frequenza delle ripetizioni sillabiche. Lo studio di tali ripetizioni condotto su coppie - madri/bebè - (in buona salute e senza problemi alla nascita) fra il terzo e il quinto giorno di vita, rivela la grande differenza melodica esistente fra il linguaggio rivolto al bebè e quello che si scambiano gli adulti fra loro. Questo tipo di discorso meraviglioso attrae tanto, si produce sin dalla nascita, fin da quando la madre vede il suo bebè; e se il neonato non è nella stanza insieme alla madre, ella non è capace di produrre un autentico maternese, rivolgendosi al bebè con una gamma dai contorni molto meno "esagerati". Tuttavia anche il bebè contribuisce, attraverso un'intensa e desiderosa partecipazione, alla qualità prosodica del maternese prodotto dall'adulto. Si tratta dunque di una vera co-creazione, in cui la parte che svolge il nascituro non è affatto di poco conto. A partire dalla settima settimana, essi preferiscono una donna che parli in maternese; e dovendo scegliere la preferiscono anche se parla in una lingua straniera. Si mostrano interessati a chi si rivolge a loro in un buon maternese: attraverso Ie linee melodiche sono enunciati primi messaggi verbali veicolati da importanti aspetti affettivi. Da essi sono motivati, incitati alla comunicazione verbale. È la musicalità che assume per il bebè un profondo valore affettivo che li prepara alla rappresentazione di parole. Questo rapporto poetico e musicale ( maternese), su un piano cognitivo, li aiuta ad organizzare l'informazione della parola. Da un po' di tempo si è scoperto che i neonati sono molto "patriottici": a quattro giorni dalla nascita distinguono la madrelingua, preferendola di gran lunga ad un'altra. Ovviamente, in altri paesi i risultati sono stati gli stessi. Ultimamente, a causa del coronavirus, gli uomini si sono dovuti attrezzare a comunicare a distanza usando la tecnologia che quest'epoca mette a disposizione. Pare che i neonati poco o per nulla tollerano i mezzi che non assicurano una presenza diretta della madre. A metà degli anni ottanta è stato svolto un esperimento in cui madre e bambino comunicavano tramite TV a circuito chiuso, ma con una temporalità non sincrona della voce. Quando la voce della mamma era “differita”, bambini diventavano confusi e poi evitanti (C. Trevarthen). Differendo la voce del bambino, era la madre che ne rimaneva influenzata poiché cessava di usare il “motherese”. Si può concludere che tutto ciò contrasta con la visione che i neonati siano essere passivi e non interattivi e soprattutto la reazione delle madri dimostra che la risonanza che producono in loro è essenziale nell'alimentare la comunicazione interpersonale. Quando stanno insieme alla madre imparano a stare con lei attraverso una regolazione interattiva, e ciò avviene in particolar modo durante l'allattamento. In questa occasione , la madre è attenta e influenzata dai segnali che provengono dal bebè. Una mamma attenta modifica se stessa nello sforzo di capire e di adattarsi al proprio bebè. Nasce da questa specifica e irripetibile relazione un rapporto unico che prende il nome di 'interazione regolativa'. I bebè fanno delle esperienze attraverso delle procedure che mettono in atto, alle quali corrispondono dei cambiamenti corporei capaci di coinvolgere funzioni connesse con il bioritmo ed il tono muscolare, e ciò avviene con la totale partecipazione della madre. Pertanto, molti studiosi sconsigliano un esercizio dell’ allattamento a orario prefissato, giacché il comportamento della madre non nasce dallo stimolo proveniente dal bebè, ma da una idea precostituita nelle credenze che ha al di fuori di quella interazione. La cronicità con cui una madre disattende i segnali del bebè li mette nella condizione di ricorrere alla autoregolazione ", ad un fare da soli" e ciò, come spiegherò più avanti può essere - secondo alcuni autorevoli studiosi - la fonte di maggior patologia nel primo anno (Tronick, 1989). I neonati non chiedono una relazione perfetta con la madre, si aspettano, invece, che essa sia semplicemente "sufficientemente buona". Essi, sanno dare valore al fatto che la madre non potrà sempre rispondere al loro pianto in modo ottimale; Sanno, poi, approfittare di questi momenti di " disgiunzione" per arrivare a negoziare stati reciproci con sufficiente flessibilità senza irrigidimenti nello schema. L'incontro tra i neonati e la madre richiede l'integrazione sia di attività in correlazione fra loro (pianto e risposta in sincronia), sia l'indipendenza di attività non in correlazione fra loro (pianto e non risposta ottimale), la disgiunzione. Dunque è fondamentale che ci sia questo "movimento oscillatorio" tra stati di corrispondenza e stati di non corrispondenza e che l’esperienza riparativa sia innescata congiuntamente dalla coppia che organizza le disgiunzioni: più forte è l’esperienza di riparazione riuscita, più forte sarà probabilmente la tolleranza della rottura. Tuttavia questo oscillare deve avere una sua "musicalità", il ritmo deve svolgersi all'interno di un sistema preciso perché si sviluppino motivi come modi per definire le emozioni, modi di “essere con”, modi di fare esperienze di relazione, che nell’insieme sono modelli di aspettative di coordinamento del ritmo. Nel documento recante il titolo "OGGETTO: COVID-19: indicazioni per gravida-partoriente, puerpera, neonato e allattamento. Ministero della salute del 31/03/2020" le disposizioni del ministero della salute prevedono: << a. Se la madre presenta un’infezione respiratoria francamente sintomatica (febbre, tosse e secrezioni respiratorie, mialgie, mal di gola, astenia, dispnea), madre e neonato vengono transitoriamente separati, in attesa della risposta del test[...]; b. Se il test risulta positivo, madre e neonato continuano ad essere gestiti separatamente; c. In caso di separazione del neonato dalla madre si raccomanda l’uso del latte materno spremuto o donato.[...] d. Nei casi di infezione materna grave la spremitura del latte materno potrà non essere effettuata in base alle condizioni generali della madre.[...] e. Neonati positivi per SARS- CoV-2 necessitanti di Terapia Intensiva Neonati e lattanti di peso < 5 kg con positività confermata per SARS-CoV-2 e necessità di terapia intensiva neonatale devono essere trasferiti presso Centri di Terapia Intensiva Neonatale identificati, con l’attivazione del Sistema di Trasporto Neonatale in Emergenza (STEN)>>. Le disposizioni del ministero della salute messe in atto a causa del covid-19 potrebbero essere pericolosamente "contra naturam". Sono procedure che prevedono separazioni ( nel caso la mamma risultasse positiva al covid-19), seppur transitorie, ma di grande effetto per il nascituro (capaci di far deviare dall'opportuno sviluppo emotivo e cognitivo) e di incontri con la madre mediata da dispostivi come mascherine chirurgiche mentre si è allattati con un altissimo rischio di compromettere la relazione, in un momento della vita in cui la qualità del legame è fondamentale per la crescita. Se proprio deve prevalere la scelta biologica, e quindi non è possibile disattendere le disposizioni sanitarie, almeno, è fondamentale che siano coinvolti osservatori esperti. Esperti in psicologia dello sviluppo infantile che sappiano cogliere quei segnali che possono scaturire da questa situazione difficile - e poter tempestivamente intervenire - ed evitare che il neonato, sopraffatto, ricorra a modalità autocentriche che possono seriamente influenzarne lo sviluppo attraverso, ad esempio, l'auto-contenimento con I'immobilità o il movimento continuo del corpo, con la contrazione della muscolatura o con I'aggrappamento ad elementi inanimati dell'ambiente; focalizzandosi su stimoli visivi o tattili, deviando da un incontro con "l'orizzonte materno". Quando si presentano questi segnali significa che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, allora, il cielo, temibilmente non toccherà più la terra o il mare. Soltanto se matura in noi e si manifesta un'adeguata sensibilità, supportata dalle conoscenze che fin d'ora abbiamo acquisito nel campo della psicologia infantile, è possibile accogliere i neonati con tutte le precauzioni del caso in condizioni fortemente umanizzanti. Bibliografia essenziale 1. Allan N. Schore "La regolazione degli affetti e la riparazione del sé"Astrolabio Ubaldini (2008) 2. Allan N. Schore "I disturbi del sé. La disregolazione degli affetti"Astrolabio Ubaldini (2010) 3. Beatrice Beebe, Frank M. Lachmann "Le origini dell'attaccamento. Infant research e trattamento degli adulti" Cortina Raffaello (2015) 4. Beatrice Beebe, Karlen Lyons-Ruth, Edward Tronick "Infant research and psychoanalysis" Fenis Zero (2018) 5.Beatrice Beebe, Frank M. Lachmann "Infant Research e trattamento degli adulti. Un modello sistemico-diadico delle interazioni"Cortina Raffaello (2003) 6. Colwyn Trevarthen "Empatia e biologia. Psicologia, cultura e neuroscienze"Cortina Raffaello (1998) 7. Daniel Stern "Le interazioni madre-bambino "Cortina Raffaello (1998) 8. Daniel Stern "Il momento presente" Cortina Raffaello (2005) 9. Joseph Lichtenberg "La psicoanalisi e l'osservazione del bambino" Cortina Raffaello (1995) 10. Marie-Christine Laznik "Con voce di sirena" Editori Internazionali Riuniti, Roma, (2012) 11. Rodini C. " Infant Research e nuove prospettive su teoria e tecnica della psicoterapia e della psicoanalisi " Ricerca Psicoanalitica, XV (1): 91-122." (2004) 12. Sander L. W. " Issues in early mother-child interaction " J. of the Am. Academy of Child Psychiatry, 1: 141-166. (1962) 13. Edward Tronick "Infant Curriculum: The Bromley-Heath Guide to the Care of Infants in Groups " (1973) 15 Edward Tronick "Regolazione emotiva. Nello sviluppo e nel processo terapeutico" Cortina Raffaello (2008)

UN BREVISSIMO SCORCIO DEL COMPLICATO LAVORO PSICOANALITICO CON I BAMBINI (RIVOLTO AGLI ADULTI CURIOSI ED IN CONTATTO CON LA PROPRIA INTERIORITÀ)

Titolo: Un brevissimo scorcio del complicato lavoro psicoanalitico con i bambini, rivolto agli adulti curiosi ed in contatto con la propria interiorità Sottotitolo: Ma allora non si tratta di una semplice chiacchierata!? Non di rado, in analisi è possibile cogliere stati di insofferenza nel bambino. Prima di quel momento, esso, era stato catturato da giochi in una condizione priva di una valenza specificatamente transferale. Ad un certo punto, però, comincia ad affacciarsi qualcosa di totalmente diverso: il gioco è accompagnato da contenuti emozionali riferibili alla coppia paziente/analista. Questi affetti, legati a dinamiche psichiche soggettive, sono di una tale intensità che generano nel bambino profonde angosce. Il terapeuta s'è competente, mantenendosi saldo ad uno specifico assetto analitico tenuto in seduta, acquisito durante la sua lunghissima formazione, permette che questi affetti - strettamente legati alla problematica per la quale n'è stata fatta richiesta la terapia- emergano per poterli elaborare. Capita sovente che una parte di questi affetti venga proiettata sulla figura dell'analista che assume così , agli occhi del bambino , le sembianze di una figura mostruosa ed un altra parte prenda vie somatiche che è possibile scorgere ad esempio nell' uso continuo del bagno a causa di brevi ma intensi mal di pancia. È il periodo in cui tutti i "mali" sono depositati in seduta mentre l'esterno è libero e la sintomatologia scompare ( parzialmente o del tutta) a causa di questa "scissione artificiale": la stanza è così abitata da tutto ciò che è indicibile mentre l' esterno assume coloriture benevoli. Il bambino, preso in errore ( cosa che capita anche agli adulti) pensa che lasciando la stanza della terapia possa sfuggire alle sue angosce. È una pia illusione, un inganno perché ciò che c'è esiste ed è reale nella sua mente e non nella stanza che altro non è che un semplice luogo fisico inanimato. L'analista ha una sola possibilità di fare uscire il bambino dal suo inganno e nel contempo fornirgli sollievo: descrivere ( e portare alla luce) il suo stato mentale, il suo mondo interno così come si esplica in quel momento nel rapporto con l’analista. Un mondo interno popolato di immagini primitive, di fratture e ricomposizioni, di mostri e angeli, di trame fantastiche e, sostanzialmente, di oggetti parziali. Tutto questo, seppur in parte doloroso, è necessario se si desidera aiutare il bambino ad avere un futuro in salute, prevenendo che le angosce e le dinamiche psichiche si esprimano in seguito in disturbi mentali. Buona giornata a tutti!

Informazioni personali

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- Psicologo Clinico e di Comunità - Psicoanalista Infantile - Psicoterapeuta specialista in infanzia adolescenza e famiglia - Ordinario e membro del comitato scientifico dell’A.I.P.P.I. - Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile - Tavistock Clinic di Londra, membro della sezione italiana European Federation of Psychoanalytic Psychotherapy (S.I.E.F.P.P.) e dell'Associazione dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Adolescente (A.G.I.P.Ps.A) - Socio dell’ Associazione Italiana di Gruppoanalisi “Il Cerchio” C.O.I.R.A.G. - Ricercatore nell'ambito dei disturbi dello spettro autistico  presso l' A.I.P.P.I. che collabora con il C.I.P.P.A. - Coordinamento Internazionale degli psicoterapeuti e psicoanalisti che si occupano di persone con autismo, che aderisce al progetto dell' Institut National de Santé et de Recherche Médicale (INSERM) per la valutazione dell’efficacia della psicoterapia psicoanalitica su pazienti affetti da disturbi dello spettro