domenica 13 settembre 2020

DUBBI E PERPLESSITÀ SUL NUOVO STRUMENTO PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO AUTISTICO

Sono in vacanza, il tempo non favorisce una bella e sana nuotata, e quasi per caso ho iniziato a leggere un po' di materiale prodotto dall'Istituto Superiore della Sanità che riguarda la diagnosi precoce all‘autismo . È un "progetto" particolarmente articolato ma l'area che m'interessa è la valutazione al rischio autismo da 0 a 12 mesi. L'iniziativa, prevede il coinvolgimento dei pediatri per l'intercettazione dei primi segnali di rischio durante il bilancio di salute. La prima cosa che mi chiedo è il numero di bilanci di salute che a memoria non sono molti: sono dieci in tutto e si svolgono in un arco di tempo compreso tra i primissimi mese di vita ed i tredici, quattordici anni. Poiché una valutazione del rischio autismo auspicabilmente dovrebbe essere fatta entro i primi 12 mesi, facendo due conti, significa che il pediatra ha a disposizione in tutto cinque incontri. Sulla base della mia esperienza , credo che il tempo a disposizione, concesso ai pediatri, può risultare pochino! Mosso da un ottimistico entusiasmo penso che si investa, allora, sulla durata di ogni singolo bilancio. Poi però ci ripenso: anche se durasse più di un ora , un'ora e mezzo, comunque non potrebbe mai essere sufficiente, questo tempo, per cogliere qualcosa di clinicamente rilevante. Da considerare, inoltre, che il pediatra, ammesso che abbia a disposizione un ora e mezzo, non è certamente (questo tempo) impiegato da lui esclusivamente per l'individuazione dei sintomi di un rischio autismo ma anche per fare altro. Detto ciò, tralasciando la questione tempo, mi pongo altre domande . La prima: quale strumento usa il pediatra per la rilevazione dei segni di un possibile disturbo? ( Non dimentichiamo che stiamo parlando di bambini molto piccoli che non hanno superato l'anno di vita). Leggo qua e là che l'Istituto Superiore della Sanità ha costruito uno strumento ( non ancora pubblicato) per la valutazione del rischio autistico. Mi chiedo a questo punto: uno strumento o per essere più preciso una scheda di valutazione presumibilmente è fatta di item , e quindi , ( domanda ) lo sguardo del pediatra dovrà, inevitabilmente, cadere su particolari disturbi neonatali predittivi al rischio autismo da essa indicati? Non è da sapere, però molto probabilmente è così! Allora, mi viene in mente che da più di un ventennio altri colleghi, di altri paesi del mondo hanno percorso questa strada, con ahimè scarsi risultati. Ad esempio in Francia si è investito molto sulla semeiotica ponendo una particolare attenzione ai seguenti disturbi che cerco brevemente di riassumere: - i sintomi psicomotori (disturbo del dialogo tonico [H. Wallon], assenza di anticipazione mimetica, fenomeno d'ipotonia o d'ipertonia paradossali: bambino "bambola di pezza", bambino"saponetta"); - i disturbi del sonno, tra cui la classica "insonnia allegra" o calma; - i disturbi delle grandi funzioni, di quella alimentare soprattutto, come per esempio certe anoressie primarie gravi; - i disturbi dello sguardo (persistenza anomala dello sguardo fisso nel vuoto o condotte di evitamento dello sguardo); - le anomalie del pianto (troppo monotono e non interazionale) o i sospetti di sordità; - le paure arcaiche che talvolta si organizzano in vere e proprie fobie massive e atipiche. Purtroppo (e ripeto purtroppo) nessuno di questi disturbi è di per sé specifico. Questa strada , individuata dai colleghi, come si può constatare, non offre molte garanzie (bisogna metterlo in conto) che utilizza per capirci la " semeiotica" - La semeiotica (dal greco σημεῖον, semèion, che significa "segno", e dal suffisso -iké, "relativo a") è la disciplina che studia i sintomi e i segni clinici-. Seconda domanda: se lo strumento (le schede di valutazione) risultasse fallimentare, tenendo conto dell'esperienza francese, cosa resta ai pediatri da usare? Purtroppo, soltanto il buon senso! Nonostante tutto, gli studi più recenti hanno dimostrato che la prevenzione si può fare ma certamente non attraverso l'analisi dei soli segni clinici. Allora, qual è la strada che non è stata considerata dall'Istituto Superiore della Sanità? La letteratura internazionale ci dice che alcuni segni rivelatori possono essere colti soltanto attraverso l'osservazione e l'uso di una " semeiotica interattiva" . Sembra una quisquilia ma l’introduzione del termine " interattivo" stravolge tutto, è di grande impatto, perché è riferibile contemporaneamente tanto al "cosa osservare" quanto a "come osservare". In sintesi ( interattivo) presuppone che il pediatra: 1. sappia leggere e interpretare cosa stia succedendo in hic et nunc tra madre e neonato ( in un tempo stabilito) 2. ad un certo punto, abbandoni una specifica impostazione o posizione (che sicuramente va bene per condurre una visita pediatrica) per utilizzarne un'altra che favorisca l'osservazione della relazione tra i due, madre/ neonato. Cosa significa assumere un'altra posizione non è possibile spiegarlo in poche righe ( richiederebbe un master) poiché la 'posizione da assumere' di cui parlo non è soltanto esterna. Come il lettore può immaginare, le cose sono complicate e le schede di valutazione, a questo punto, potrebbero non essere di piena utilità. L’istituto Superiore della Sanità però, se si ravvedesse, potrebbe investire, su ciò che chiamo "cambiamento di Setting" che è sicuramente più adeguato allo scopo, con tutto ciò che implica: a. Formazione all'osservazione; b. Attenzione alla lettura dei comportamenti interpersonali e , specificatamente, alle funzioni psichiche correlate e sottostanti "anomale". Tuttavia bisogna essere cauti, anche se si abbandonasse la scheda di valutazione, e si accettasse l'impostazione orientata alla lettura di una " semeiotica interattiva" , allo stato attuale, non c'è nessuna evidenza che si possa fare bene perché è veramente difficile fare previsioni circa le trattorie evolutive di sviluppo. La differenza , spesso, non è fatta dallo strumento, che comunque è indispensabile, ma dalle capacità del clinico. Un clinico che è stato prima di tutto formato all'osservazione infantile ( infant observation) e che ha poi maturato anni di esperienza sul campo e che ovviamente conosca la psicopatologia della prima infanzia può offrire maggiori garanzie . Non s'improvvisa in questo lavoro! Concludo con un altro tipo di previsione, purtroppo non riferibile all'autismo, ponendo l'attenzione, brevemente, ai rischi di tale iniziativa. Penso ai poveri amici pediatri ( che saluto) che saranno investiti di questo peso emotivo. Innanzitutto, introducendo la valutazione del rischio autistico nel bilancio di salute sono inevitabilmente loro che volente o dolente si accollano la responsabilità di un errore di valutazione , (sia che l'autismo c'è sia che non c'è) giusta o sbagliata. È facile che in entrambi i casi i genitori, arrabbiati , delusi, li riterranno responsabili e non è da escludere che fioccheranno azioni legali risarcitorie. Gli avvocati ci andranno a nozze. Tra l'altro c'è una sentenza della Corte di cassazione (sentenza numero 1511/2007), che sostiene ciò che prevedo e che recita: “poiché l’intervento del medico riguarda non tanto o non solo la fisicità del soggetto ma la persona nella sua integrità (si cura non la malattia ma il malato), è ragionevole ritenere che eventuali errori diagnostici compromettano, oltre alla salute fisica, l’equilibrio psichico della persona, specie se l’errore – come nel caso di specie – riguarda la diagnosi di malattie assai gravi e comunque in grado di pregiudicare grandemente la serenità del paziente”. E anche: “Peraltro, ad essere compromessa è non solo (o non tanto nel caso di specie, vista la tenera età in cui di solito viene eseguita la diagnosi di autismo) la sfera del paziente che ha subito l’errata diagnosi, ma anche (e talvolta soprattutto) quella dei suoi prossimi congiunti, che subiscono delle ripercussioni dirette sulla propria emotività.”(sentenza numero 14040/2013). Spero che le mie osservazioni vengano accolte (dalle persone interessate) in modo costruttive, in modo da avviare una proficua riflessione, e che non siano invece accolte in modo critico, considerato che non è nelle mie intenzioni. Buon proseguimento di vacanze!

L’ABA E’ L’UNICA STRADA PER I BAMBINI CON UN DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO?

Tratto da http://www.autismnz.org.nz/articlesDetail.php?id=23 Barry M. Prizant, Ph.D., CCC-SLP Centro per lo studio dello sviluppo umano, Brown University, Providence, RI Lo scopo di questo documento è di fare il punto su dichiarazioni fatte spesso e riguardanti l’ABA contro altri trattamenti o approcci educativi per bambini con ASD. Un piccolo gruppo fra i tanti bravi professionisti in Analisi Applicata del Comporta- mento ha esposto un approccio “solo ABA” per bambini con ASD, e ha fatto raccomandazioni di trattamento ed educativi che trasmettevano questo messaggio alle famiglie e agli enti che aiutano i bambini. Molti professionisti esperti e genitori sono diventati sempre più preoccupati per queste dichiarazioni fatte da persone che mettono in pratica e propongono l’ABA, dichiarazioni che sono o inaccurate o mezze verità, perchè trasmettono alle famiglie informazioni false che non sono supportate dalle ricerche e dalle pratiche più recenti. Quando questo avviene, può causare confusione nelle famiglie e sfiducia nei professionisti che non sostengono che l’ABA sia il “solo” approccio efficace, minando quindi la fondamentale relazione tra genitori e professionisti, che sta alla base di una collaborazione di successo. Le dichiarazioni che vogliono comunicare ai genitori che “l’ABA è l’unica strada” cercano di convincere i genitori che non hanno bisogno di cercare altro, che non hanno bisogno di informarsi sulla gamma di approcci disponibili, e non è necessario che tengano in considerazione altri approcci o si informino su programmi che possano basarsi su pratiche diverse dall’ABA. Tante volte sentiamo genitori di bambini più grandi che dicono che nei primi anni sono stati portati a credere che l’ABA era l’unico approccio credibile a disposizione. Aggiungono anche che avrebbero preferito essere più informati sulle terapie per bambini con ASD, perché avrebbero potuto fare scelte più informate per i loro bambini. Per iniziare, ecco alcuni brevi commenti sull’ABA, visto che l’ABA è spesso discusso come un approccio o trattamento, cosa che non è accurata. 1. Le definizioni di ABA variano molto, come le terapie che ricadono sotto il titolo di ABA. Una definizione comune di ABA è “L’analisi applicata del comportamento (A- BA) è un processo sistematico di studiare e modificare il comportamento osservabile attraverso una manipolazione dell’ambiente. I suoi principi derivano da estese ricerche di base, spesso con soggetti non umani, ma è diventata famosa negli ultimi anni come terapia per l’autismo e altri disturbi comportamentali”. La dott.ssa Laura Schreibman, una ricercatrice ABA di alto rispetto e consulente, recentemente ha dichiarato che “tecnicamente, l’analisi applicata del comportamento non è un trattamento per l’autismo, è una metodologia di ricerca” (Schreibman, 2007). 2. La gamma di terapie sotto il titolo di ABA si è evoluta negli ultimi 30 anni e ora varia da Pratiche tradizionali a Pratiche contemporanee (Myers & Johnson, 2007; Prizant & Wetherby, 1998; 2005): Una pratica ABA tradizionale è caratterizzata da insegnamento altamente strutturato, diretto da un adulto, a cui ci si riferisce come Discrete Trial Instruction o Training (DTI o DTT) che si focalizza sull’insegnamento di risposte corrette in insegnamento disciplinato. DTT è derivato per la prima volta dagli esperimenti sul condizionamento operante di B. F. Skinner negli anni ’50 ed è stato reso famoso per i bambini con autismo da Ivar Lovaas negli anni 60 e 70, conosciuto poi come modificazione comportamentale. Nella maggior parte dei casi, queste pratiche compren- dono programmi scritti che devono essere seguiti fedelmente quando si “insegna” ad un bambino. Gli obiettivi più importanti comprendono “Controllo istruzionale” e “Obbedienza” mentre si insegna, e stimolano risposte corrette che sono l’obiettivo dei programmi di insegnamento. Sono previste spesso procedure per eliminare comportamenti indesiderati, spesso senza determinare le funzioni o gli scopi di tali comportamenti. I migliori contributi dell’ABA tradizionale comprendono i benefici nello scomporre i compiti in step definiti (task analysis), l’importanza di usare una gerarchia di prompt e eliminazione del prompt, e una misurazione sistematica dei progressi. Le pratiche di ABA tradizionale, però, di solito non sono basate su ricerche sullo sviluppo del bambino e sviluppo umano; usano principalmente formati di insegnamento adulto-bambino (1 a 1) con esclusione di istruzione sociale in vari ambienti; non prendono in considerazione il profilo di sviluppo del bambino; e insegnano abi- lità che non si focalizzano necessariamente sui problemi chiave di relazione e sociocomunicativi che devono affrontare i bambini con ASD. Le pratiche di ABA contemporaneo sono caratterizzate da insegnamento più flessibile e naturale (insegnamento incidentale) in routine e attività naturali che si focalizzano sull’iniziazione sociale e sulla spontaneità nelle routine e attività giornaliere. A causa delle limitazioni significative delle pratiche ABA tradizionali, molti consulenti e terapisti ABA si sono spostati da una pratica altamente strutturata e prescrittiva a pratiche che prestano una maggiore attenzione alla comunicazione sociale in una varietà di ambienti sociali, e il bisogno di determinare funzioni di comportamento per rimpiazzare comportamento meno desiderato. In molti modi, le pratiche ABA contemporanee, come l’Insegnamento Incidentale, il Pivotal Response Training (insegnamento pivotale), e il Sostegno comportamentale positivo sono più simili ad approcci di base evolutiva (per es., SCERTS, Floor-time, RDI) delle pratiche ABA tradizionali. Lo sviluppo di pratiche ABA contemporanee è stato altamente influenzato da ricerche sullo sviluppo del linguaggio e del gioco in bambini neurotipici, con un’enfasi su approcci individualizzati e positivi per capire e intervenire su comportamenti problema. Riassumendo, è importante che le famiglie capiscano che le pratiche ABA variano notevolmente da un approccio all’altro. Tra le diverse pratiche ABA ci sono differenze fondamentali nella filosofia, supporto di ricerca, i tipi di intervento, e i metodi usati per documentare i progressi. Negli ultimi 10-20 anni, la tendenza chiara nell’ABA è stato uno spostamento da pratiche tradizionali a pratiche più contemporanee. Questo è dovuto ai seguenti fatti: 1) la ricerca non ha supportato l’efficacia di pratiche ABA tradizionali nell’insegnamento di comunicazione sociale e di altre abilità funzionali importanti (vedere sotto); e 2) ci sono stati cambiamenti significativi nei valori e nelle credenze della società, che hanno portato a leggi sull’educazione che non permettono più l’uso di punizioni o procedure avversive nella pratica dell’educazione, che erano state inserite e studiate per prime in pratiche ABA tradizionali. Per questa ragione, è di fondamentale importanza determinare a quale tipo di pratica ABA ci si riferisce, specialmente quando si prendono decisioni riguardanti l’uso dell’ABA nella programmazione educativa. 3. I ricercatori hanno criticato gli approcci ABA che usano DTT come metodo predominante di istruzione, citando la sua limitata efficacia. Le loro critiche comprendono: 1) l’uso di strategie che non promuovono la comunicazione sociale o non supportano la formazione di relazioni, cose che sono entrambe i deficit chiave dell’autismo; 2) un modello di insegnamento che è principalmente controllato dall’adulto e che scoraggia l’iniziativa e la spontaneità nella comunicazione e nell’apprendimento mettendo il bambino in un ruolo di “risponditore”, cosa che causa passività e dipendenza da prompt; e 3) l’insegnamento di abilità che rimangono limitate alla situazione di insegnamento: cioè, non vengono generalizzate in maniera significativa per un uso indipendente nelle interazioni e attività quotidiane. Infatti, a causa di queste critiche, le ricerche più considerate e più pubblicate sull’ABA e su ASD negli ultimi tre decenni sono state apertamente critiche delle pratiche ABA tradizionali, hanno abbandonato tali pratiche e hanno dimostrato in ricerche pubbliche che gli approcci più efficaci incorporano principi evolutivi, incentrati sul bambino e sulla famiglia, nella programmazione educativa di bambini con ASD. Come si nota, questi ricercatori e consulenti ABA contemporanei si sono spo- stati verso pratiche basate su un approccio più evolutivo e basate su attività naturali sotto l’influenza della letteratura sullo sviluppo e l’apprendimento del bambino in routine e ambienti naturali. Questi ricercatori e consulenti ABA contemporanei comprendono i dott. Robert e Lynn Koegel, Laura Schreibman, Phil Strain, Gail McGee, alcuni dei quali hanno studiato e condotto ricerche con il Dr. Lovaas (RK, LS, GM) tra la fine egli anni 60 e l’inizio degli anni 80, quando sono state sviluppate inizialmente le pratiche ABA tradizionali. Strain ha sottolineato che soltanto attraverso l’integrazione delle differenti prospettive, comprese la teoria ecologica, evolutiva e dei sistemi, come anche quella comportamentale, si possono sviluppare “nuovi e più efficaci interventi” per i bambini e le famiglie. Le affermazioni più frequenti usate per sostenere le pratiche ABA tradizionali Qui di seguito ci sono esempi di affermazioni sull’ABA che sono ancora fatte di frequente, nonostante il fatto che la ricerca non sostenga tali affermazioni: Affermazione n. 1. Le ricerche hanno concluso che l’ABA è l’unico approccio efficace, o il più efficace, per bambini con ASD, e pertanto è il “trattamento d’oro”. FALSO: La revisione più esaustiva delle ricerche educative finora, condotta dal Consiglio Nazionale di Ricerca (National Research Council, un comitato istituito dall’Accademia Nazionale delle Scienze, NRC, 2001), ha concluso che, allo stato attuale delle ricerche sugli ASD, non ci sono prove che un qualsiasi approccio sia migliore di qualsiasi altro approccio per bambini da 0 a 8 anni. Hanno notato che “gli studi hanno riportato cambiamenti sostanziali in un vasto numero di bambini che hanno ricevuto una vasta gamma di approcci di intervento, dal comportamentale all’evolutivo”. E’ importante notare che questa opinione è stata consensuale per 12 esperti nazionali in ASD, che venivano da diverse discipline e approcci (compreso l’ABA). Questo comitato è stato istituito per rivedere 20 anni di ricerche educative nell’autismo e ha riportato molte conclusioni e raccomandazioni in un documento di 324 pagine (vedere al sito www.NAP.edu). Alcune persone che propongono l’ABA citano le linee guida del 1999 per la pratica clinica dello stato di New York per l’intervento precoce (0-3 anni) per i bambini con autismo (1999 New York State Clinical Practice Guidelines for Early Intervention (0-3 years) for Children with Autism), che mirano a servizi solo per bambini da 0 a 3 anni, per sostenere l’affermazione che l’ABA è l’unico approccio efficace. Però il Consiglio Nazionale di Ricerca ha incluso questo documento nella sua revisione, che è stata condotta alcuni anni dopo, e ha rifiutato le loro conclusioni. L’Accademia Americana dei Medici Pediatri (Myers & Johnson, 2007) ha notato che “C’è un crescente aumento di prove che sostengono l’efficacia di certi interventi (comportamentali ed evolutivi) per il miglioramento di sintomi e l’incremento delle funzioni, ma rimane ancora tanto da imparare”. Affermazione n. 2. Una volta che un bambino è stato diagnosticato con un ASD, deve ricevere ore (25, 30 o 40) di servizi ABA, spesso consigliati con un modello DTT, per fare progressi. FALSO: In base all’esaustiva revisione di ricerche, il Consiglio Nazionale di Ricerca ha raccomandato che i bambini ASD necessitano di coinvolgimento attivo in un intervento per almeno 25 ore alla settimana. Però, non si specifica nessun approccio in particolare, e, come già detto, ci sono prove basate su ricerche di cambiamenti positivi sostanziali ottenuti usando vari approcci di intervento, dal comportamentale all’evolutivo. Inoltre, il NRC ha sottolineato che le priorità educative, o le aree più importanti su cui focalizzarsi, devono comprendere: a) comunicazione funzionale, spontanea, b) istruzione sociale in diversi ambienti (non principalmente in training 1 a 1) c) insegnamento di abilità di gioco che si focalizzino sull’uso appropriato di gio- chi con i pari, d) istruzioni che portino alla generalizzazione e al mantenimento di obiettivi cognitivi in contesti naturali, e) approcci positivi per intervenire su comportamenti problema, f) abilità accademiche funzionali quando appropriato. Gli approcci ABA variano molto per quel che riguarda l’attenzione posta a queste pratiche, con approcci ABA contemporanei che sono più centrati su queste priorità. Affermazione n. 3. Un bambino con ASD trarrà massimo beneficio da servizi ABA che usino un modello di insegnamento DTT perché: a) certe abilità di base devono essere acquisite prima che un bambino possa trarre beneficio da esperienze di apprendimento sociale (“mito” delle abilità di base) b) i bambini con ASD (soprattutto bambini piccoli) possono imparare soltanto in insegnamento 1 a 1, e non possono imparare da altri bambini (“mito” dell’istruzione con rapporto 1 a 1) c) gli ambienti normali sono troppo stimolanti perché un bambino riesca ad im- parare (“mito” della sovrastimolazione) d) il comportamento non può essere controllato in ambienti più normali (“mito” del controllo del comportamento) FALSO: Tre altamente rispettati analisti ABA per l’ASD, i dottori Phil Strain, Gail McGee e Frank Kohler, hanno dedicato un intero capitolo a queste affermazioni, e hanno rivisto ricerche per vedere se c’erano sostegni per ogni affermazione. Hanno concluso che “questi miti hanno basi traballanti, se non addirittura assenti”. (da Strain, McGee & Kohler, 2001). In altre parole, non ci sono ricerche che sostengano questi miti. Strain, McGee e Kohler citano il bisogno fondamentale di attività ben sostenute e programmate per bambini con ASD in ambienti sociali che li includano e che siano appropriati evolutivamente. Affermazione n. 4. Se un bambino non riceve ABA intensivo entro il quinto anno di età, la “finestra di opportunità” per l’apprendimento si chiude o si perde. FALSO. Non ci sono prove che ci sia un limite massimo per l’apprendimento, o che ci sia una finestra di opportunità che si chiuda. Questa affermazione è la versione non corretta di un’affermazione vera: Uno dei fattori associati con migliori risultati è l’avvio precoce di un intervento. Però questo è soltanto uno dei fattori che sono associati con i risultati migliori. Altri fattori comprendono il coinvolgimento di un componente della famiglia, il coinvolgimento attivo della famiglia nella programmazione, attività appropriate dal punto di vista evolutivo, 25 ore di programmazione individualizzata a settimana e opportunità di insegnamento ripetute e pianificate. Il termine “individualizzato” spesso viene male interprato come servizi 1 a 1. In realtà si riferisce ad un programma che sia sviluppato per ogni singolo bambino in base ai suoi punti di forza, necessità e priorità familiari. L’apprendimento e i progressi per i bambini e i soggetti con ASD durano tutta la vita, come per tutti gli esseri umani. Ovviamente è importante iniziare un intervento il più precocemente possibile, ma questo non significa che i progressi di un bambino saranno limitati o assenti a meno che il bambino non riceva un monte ore minimo di ABA (o di qualsiasi altro servizio) prima dei cinque anni. Abbiamo conosciuto molti bambini che continuano a fare progressi evolutivi significativi durante la loro tarda infanzia, adolescenza e persino nell’età adulta. Sfortunatamente l’affermazione “finestra di opportunità” spesso porta ad un eccessivo senso di colpa per molti genitori i cui bambini non hanno iniziato presto a ricevere servizi ABA, o che non hanno scelto l’ABA tradizionale come approccio per il loro bambino. Affermazione n. 5. L’ABA è l’unico approccio educativo che porti ad un “recupero” dall’autismo, cosa che avviene in circa la metà dei casi. FALSO. Quando si fa questa affermazione, gli studi che sono citati più di frequente sono quelli del dott. Lovaas e colleghi (Lovaas, 1987; McEachin, Smith e Lovaas, 1993), in cui sono stati seguiti 19 bambini che ricevevano servizi ABA intensivi e 9 di questi sono stati considerati “recuperati” al follow-up. Ci sono però diversi problemi riguardo questa affermazione. 1. Prima di tutto, questi studi sono stati severamente criticati per le affermazioni fatte riguardanti i risultati degli studi, visto il numero ristretto di soggetti, e il tipo e l’intensità del trattamento fornito. Sono stati criticati anche per molti punti della metodologia di ricerca (per es., le misure usate per sostenere il “recupero”, la selezione dei soggetti, il tipo di gruppo di controllo). Inoltre gli studi sono stati condotti quando venivano usate ancora procedure avversive. Molti tentativi di replicare o riprodurre questi risultati con gruppi più grandi di bambini in diversi centri di ricerca finanziati dallo Stato non sono andati a buon fine e, infatti, diversi di questi centri sono stati chiusi prima del completamento del periodo di ricerca a causa degli scarsi risultati. Attualmente, dopo quasi 20 anni dalle pubblicazioni del primo studio di Lovaas, non ci sono state repliche di successo dei risultati originali, con molti tentativi falliti. 2. Il problema del “recupero” dall’autismo rimane estremamente controver- so, e la probabilità di recupero non è stata supportata da studi di follow- up a lungo termine di bambini che hanno ricevuto diversi interventi. Inol- tre, diagnosi accurate di bambini molto piccoli rimangono una cosa relati- vamente nuova e imprecisa, visto che i bambini piccoli possono cambiare moltissimo nei primi tre anni di sviluppo. Alcuni problemi evolutivi, come disabilità del linguaggio, disturbi di elaborazione sensoriale e disturbi d’ansia, e problemi fisiologici come gravi allergie ambientali e alimentari, e disturbi gastrointestinali possono influenzare notevolmente la comunica- zione sociale e la regolazione emozionale, e possono essere confusi con un profilo di autismo ad un’età molto giovane (alcuni di questi disturbi fisiologici sono stati osservati anche in alcuni bambini con ASD, creando ulteriore confusione diagnostica). Pertanto, sapere se un bambino diagnosticato attorno ai 2 anni di età continuerà a mantenere tale diagnosi 2-4 anni dopo è una questione che le ricerche hanno iniziato solo ora a studiare. Sfortunatamente, le ricerche disponibili indicano che il numero di bambini diagnosticati accuratamente e che “escono dallo spettro” rimane molto basso (circa 2-4%) (Lord et al, 2006). Chiaramente, alcuni bambini con ASD continuano a migliorare accademicamente, nello sviluppo delle relazioni sociali e nell’avere una positiva “qualità di vita” anche se continuano a qualificarsi per una diagnosi e se continuano ad avere alcuni dei problemi associati con l’ASD. Allo stato attuale, però, le ricerche indicano che l’ASD rimane una disabilità evolutiva per tutta la vita per la maggior parte dei bambini che ricevono questa diagnosi. Affermazione n. 6. Ci sono centinaia di studi che dimostrano che l’ABA funziona, e pochi o nessuno studio che dimostrino che gli altri approcci “funzionino”. VERO A META’. C’è una considerevole quantità di studi condotti da ricercatore ABA e pubblicata in riviste ABA e di altro tipo che dimostrano l’efficacia di specifici elementi di pratica, come: insegnare abilità comunicative e rimpiazzi comunicativi per comportamenti problema, uso del water, abilità sociali, uso di supporti visivi, tecniche di rilassamento e molte altre aree di attenzione nell’intervento. Però ci sono molti pochi studi che hanno controllato l’efficacia di “programmi di intervento globali”, e questo è vero sia per l’ABA che per altri approcci di intervento (NRC, 2001). Inoltre, molti studi che sono citati per sostenere la pratica ABA comprendono pratiche che sono state sviluppate prima di tutto fuori dal contesto ABA, come l’insegnamento della comunicazione spontanea, di abilità sociali e di gioco, l’uso di sistemi di comunicazione aumentativi, l’uso di procedure di rilassamento e l’uso di supporti visivi come programmi e organizzatori grafici. Nella sua revisione di ricerche educative, il Consiglio Nazionale di Ricerca (2001), e più recentemente l’Accademia americana dei Medici Pediatri (Myers & Johnson, 2007), hanno sottolineato che ci sono molti modelli, oltre all’ABA tradizionale, che, in modo più globale, comprendono i componenti più essenziali di programmi efficaci che hanno mostrato risultati positivi per bambini con ASD. Inoltre, approcci diversi dall’ABA hanno utilizzato anche pratiche basate su ricerche scientifiche e soddisfano i criteri associati con pratiche educative efficaci. RIASSUNTO E CONCLUSIONE I principi e le pratiche nell’Analisi comportamentale applicata hanno contribuito a lungo all’intervento e alla programmazione educativa per bambini con ASD. La maggior parte di programmi efficaci utilizza alcuni principi e pratiche ABA integrate con altre pratiche (evolutive, sensoriali, comunicazione alternativa aumentativa, sostegno alla famiglia) in programmi individualizzati per bambini. Però, all’interno della comunità ABA, alcuni consulenti e alcuni enti continuano a fare affermazioni che portano alla dichiarazione che “l’ABA è l’unica strada”, o che non è possibile avere programmi di qualità a meno che non siano programmi ABA, o supervisionati da personale ABA (cioè da BCBA, Board Certified Applied Behaior Analysts). La maggior parte delle volte, queste dichiarazioni sono supportate dalle dichiarazioni 1-6 citate prima, nonostante la mancanza di ricerche di sostegno a queste affermazioni, e nonostante ci siano prove che confutano queste dichiarazioni. Sfortunatamente questo messaggio continua ad essere inviato da coloro che propongono pratiche tradizionali ABA, quando vengono prescritti servizi alle famiglie di bambini con ASD, e agli enti che servono questi bambini. Dobbiamo anche prendere in considerazione il costo di queste dichiarazioni, non so- lo monetario, ma anche il tempo perso in una programmazione efficace, per un bambino e la sua famiglia. Focalizzarsi molto su pratiche di ABA tradizionale può portare a far sì che i bambini perdano le opportunità di partecipare ad un programma che sostenga il vero apprendimento sociale e comunicativo e la crescita emozionale, che sono i bisogni primari dei bambini con ASD – tempo che poteva essere speso imparando dalle persone e sviluppando relazioni, e acquisendo abilità funzionali significative che permettano ai bambini e ai soggetti più grandi, e alle loro famiglie, di partecipare ad attività e routine quotidiane nella loro casa, scuola e comunità, e stare bene nel portarle avanti. Le revisioni di ricerche più rispettate ed esaustive hanno indicato che non ci sono prove sostanziali che supportino i “miti” citati sopra. Infatti, come si è indicato, queste affermazioni sono state severamente criticate dai ricercatori più pubblicati all’interno dell’ABA, le cui ricerche e pratiche si sono evolute dall’ABA tradizionale a pratiche più contemporanee (i dott. Robert e Lynn Koegel, Phil Strani, Gail McGee e altri). Ovviamente, queste dichiarazioni sono state contestate da altri professionisti che hanno contribuito alle pratiche per ASD per sviluppare approcci di orientamento diverso dall’ABA, come Stanley Greenspan, Steven Gutstein, Gary Mesibov, Carol Gray, io stesso e i miei colleghi. Inoltre, adulti con autismo, compresi Stephen Shore, Jerry Newport, Temple Grandin, Donna Williams, Ros Blackburn e Micelle Dawson, che hanno scritto e/o parlato delle loro esperienze, hanno sollevato seri dubbi su approcci che derivano principalmente da pratiche ABA, con l’esclusione di altre pratiche. Come detto, lo spostamento dall’ABA tradizionale a pratiche più contemporanee è stato la tendenza chiara e continuativa nell’educazione e nel trattamento all’interno dell’ABA. Le pratiche di ABA contemporaneo sono ora molto vicine per filosofia e pratica a pratiche non ABA che sono basate più sul processo evolutivo, e individualizzate per bambini e famiglie (per es. DIR-Floortime, Hanen, RDI, SCERTS, TEACCH e altri). Infatti, nel più recente ciclo di premi per sovvenzioni a trattamenti dell’associazione Autism Speaks, le sovvenzioni che sono state approvate per importanti finanziamenti non comprendono ricerche su un approccio che è stato basato principalmente su un orientamento ABA, con esclusione di altre pratiche, dimostrando la priorità posta sull’ampliamento delle prospettive di trattamento. C’è così tanto ancora che dobbiamo imparare per sostenere i bambini e soggetti più grandi con ASD e le loro famiglie. Questa base di conoscenza che continua ad evolversi dovrà venire da persone con ASD, ricercatori, educatori, terapisti e genitori da una vasta gamma di orientamenti filosofici e di intervento. Non c’è più spazio per dichiarazioni infondate che vengono fatte con l’obiettivo di limitare la gamma potenziale di pratiche efficaci, o di “convincere” genitori o enti finanziatori che l’”ABA è l’unica strada”. Questo ha portato soltanto a liti costose, divisioni, sfiducia e confusione per genitori e consulenti. In alcuni casi, ha anche impedito la libertà di scelta per le famiglie, quando sono disponibili solo opzioni limitate di trattamento. E’ un disservizio per i bambini con ASD e le loro famiglie che queste dichiarazioni che sostengono pratiche ABA tradizionali continuino nonostante le prove e l’opinione di esperti riguardo i loro limiti. Per fare in modo che le pratiche di educazione e trattamento migliorino e per far sì che ci siano programmi veramente individualizzati per bambini e famiglie, le affermazioni che “solo un tipo di approccio funziona” devono cessare. Barry M. Prizant, Ph.D. Direttore Childhood Communication Services Professore aggiunto Centro per gli studi sullo sviluppo umano Brown University I miei più sinceri ringraziamenti alle quasi due dozzine di educatori, terapisti, amministratori e genitori che mi hanno fornito informazioni fondamentali per le precedenti stesure, che sono risultate in questa versione finale. Ho apprezzato tantissimo il loro incoraggiamento e il loro chiaro consenso al fatto che un tale documento fosse necessario per aiutare famiglie e consulenti. Un grazie speciale a Carol Gray, Karen Levine, Diane Twachtman-Cullen, Eve Mullen e Tony Maida per i loro commen- ti dettagliati e attenti. Riferimenti Koegel, R., and Koegel, L. (Eds.) (1995). Teaching children with autism. Baltimore, MD: Paul Brookes. Lord, C., Risi, S., DiLavore, P., Shulman, C., Thurm, A., & Pickles, A. (2006). Autism from two to nine. Archives of General Psychiatry, 63, 694-701. Lovaas (1987) Behavioral treatment and normal educational and intellectual functioning in young autistic children. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 55, 3-9. McEachin, J.J., Smith, T., & Lovaas, O.I. (1993). Long-term outcome for children with autism who received early intensive behavioral treatment. American Journal on Mental Retardation, 97, 359-372. Myers, S. Johnson, C. Management of children with autism spectrum disorders. (2007). Pediatrics, 120, 1162-1182. National Research Council (2001). Educating children with autism. Committee on Educational Interventions for Children with Autism. Division of Behavioral and Social Sciences and Education. Washington, DC: National Academy Press. (www.nap.edu) Prizant, B.M. & Wetherby, A.M. (1998). Understanding the continuum of discrete-trial traditional behavioral to social-pragmatic, developmental approaches in communication enhancement for young children with ASD. Seminars in Speech and Language, 19, 329-353. Prizant, B.M.,& Rubin, E. (1999). Contemporary issues in interventions for Autism Spectrum Disorders: A commentary. Journal of the Association of Persons with Severe Handicaps, 24, 199-217. Prizant, B.M., & Wetherby, A. M. (2005) Critical considerations in enhancing communication abilities for persons with autism spectrum disorders. In F. Volkmar, A. Klin & Paul, R. (Eds.), Handbook of autism and pervasive developmental disorders (3rd Edition). Strain, P., McGee, G, and Kohler, F. (2001). Inclusion of children with autism in early intervention settings. In. M. Guralnick (ed.), Early childhood inclusion: Focus on change. Baltimore: Paul Brookes Publishing. Lo Staff di Ippocrates

sabato 14 dicembre 2019

LA VENERAZIONE - IL CULTO - DEL MAESTRO O DEI MAESTRI

LA VENERAZIONE - IL CULTO- DEL MAESTRO O DEI MAESTRI. Concordo con le opinioni esposte da Lear: «Freud è morto! È morto nel 1939, dopo una vita straordinariamente produttiva e creativa ed è importante non rimanere fissati a lui, come certi sintomi rigidi, oppure idolatrarlo o denigrarlo». La teorizzazione in generale, e la teorizzazione psicoanalitica nello specifico, possono infatti essere oggetto di una singolare condotta adesiva, che si manifesta nell' <> ai «pensieri» per nascondere uno stato interiore di vuoto o di confusione: corrisponde, infatti, a un massiccio bisogno di incorporazione, perdersi estasiati in complesse  concettualizzazioni, nelle quali la brillantezza dell'esposizione incanta per il suo fascino, e così nasconde un profondo stato di smarrimento interno.  Attaccarsi, incollarsi adesivamente al pensiero del maestro o dei maestri, azionare  il registratore non appena cominciano a parlare e poi «riempirsene la bocca» e finire con il funzionare come magnetofoni che ripetono quello che hanno sentito dire, tutto questo, mi sembra, individua un funzionamento assai vicino all'aggrappamento autistico, a metà strada tra l' aggrappamento autistico e l'identificazione proiettiva (l'incorporazione): un' incollarsi, dunque, all'interno dell'altro. Si tratta di un atteggiamento che tradisce una grave fobia del mondo interno, una vera e propria fuga dall'incontro. Il vero apprendimento e l'autenticità dell'incontro con il pensiero presuppongono, necessariamente,  una condizione mentale connessa con la posizione depressiva, un farsi sorprendere dal " fatto scelto" ( che poi non è mai scelto!) che consente il contatto con l'interiorità e con l'esperienza della mancanza. L' aggrappamento adesivo al pensiero del maestro o dei maestri, rimane un'attività periferica e produce solo degli «effetti di bocca», un vano muovere la lingua.

venerdì 30 agosto 2019

UNA QUESTIONE CENTRALE PER LA PROFESSIONE IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI ALL'ORDINE: pochissime righe per stimolare l'attenzione su una problematica di grande interesse sociale oltre che professionale Perché l’Ordine dovrebbe impegnarsi a mettere al centro dei propri obiettivi la diffusione delle psicoterapie nella sanità pubblica e/o in regime di collaborazione? Per cominciare, una statistica significativa: attualmente i Dipartimenti di salute mentale presenti sul territorio nazionale sono in grado di fornire solo il 55% dell'assistenza necessaria relativamente al fabbisogno di psicoterapia e riabilitazione psichiatrica.  A fornirla è la  Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica il cui presidente, Fabrizio Starace, ha dichiarato :“Sarà difficile trovare delle realtà in grado di applicare gli standard richiesti. Nei Centri di salute mentale gli interventi psicoterapici, cardini nella cura di schizofrenia, depressione e ansia sono garantiti a un paziente su dieci. Con pochi psicologi a disposizione e lunghe liste di attesa si è costretti a ricorrere all’intervento farmacologico, una sconfitta per tutti”. Secondo i dati disponibili solo il 6,5% delle attività dei Dipartimenti è deputata ai trattamenti psicoterapeutici (nella maggior parte svolti da psicologi-psicoterapeuti) mentre il 31,2% degli interventi è rappresentato da attività infermieristiche a domicilio e nel territorio, il 24,1% da attività psichiatrica, il 15,6% da attività di riabilitazione e risocializzazione territoriale, e il 6% da attività di coordinamento; la quota restante riguarda attività rivolta alla famiglia e attività di supporto. Va sottolineato anche che per il futuro si prevede un significativo incremento dei disturbi mentali necessitanti di cure a forte impronta psicoterapeutica." Potranno poche decine di posti, banditi dalla Regione Campania sopperire a questa mancanza oppure l'ordine dovrebbe osare molto, ma molto di più? Pasquale, Francesco Califano 🤔

AUTISMO E PREVENZIONE

Cari lettori, In vista della giornata mondiale per la consapevolezza sull'autismo di martedì 2 aprile 2019, vorrei dire qualcosa che potrebbe tornare utili a tutta la comunità in un futuro avvenire. L’autismo è un disturbo dello sviluppo, la cui origine neurobiologica è ormai riconosciuta ed i cui criteri diagnostici sono chiaramente definiti. Questi criteri sono oggetto di un consenso internazionale, e l’autismo è definito a partire dall’associazione di anomalie qualitative negli ambiti dell’interazione sociale, da disturbi della comunicazione e da caratteristiche di comportamento rigido e stereotipato. La diagnosi d’autismo, purtroppo, viene effettuata ancora relativamente tardi, poiché la maggior parte dei bambini la riceve attorno ai 4 anni; Viene generalmente formulata dopo due anni da ché i genitori hanno iniziato a preoccuparsi ed a ricercare un aiuto (Howlin e Moore, 1997). Tuttavia, dei professionisti esperti potrebbero riconoscere i sintomi dell’autismo molto più precocemente, tra i 12 e i 13 mesi (Fombonne e De Giacomo, 2000). L’identificazione precoce dell’autismo rappresenta una sfida importante poiché apre delle possibilità di presa a carico ad un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati. Le ricerche che valutano gli effetti di un intervento precoce mostrano che i bambini beneficiari di tali interventi presentano dei progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale; Si riscontra  un’accelerazione del ritmo di sviluppo con una crescita del quoziente d’intelligenza (QI), dei progressi nel linguaggio, un miglioramento dei comportamenti e una diminuzione dei sintomi del disturbo autistico. Questi progressi sopravvengono in 1 o 2 anni d’intervento precoce e intensivo, e la maggioranza dei bambini presi a carico (73 %) accede ad un linguaggio funzionale alla fine del periodo d’intervento (in generale attorno ai 5 anni). I benefici del trattamento rimangono costanti in seguito. Nella pratica, il ritardo nell’identificazione dei segni precoci dell’autismo è legato a diversi fattori: I genitori non possono percepire dei comportamenti devianti rispetto allo sviluppo normale, soprattutto, mancando loro l’esperienza, quando il bambino è il primo figlio; Succede anche che alcuni medici, poco familiarizzati con la sintomatologia precoce dell’autismo, ne banalizzano  i primi segnali e si mostrano rassicuranti nei confronti dei famigliari; Infine, gli ambiti che accolgono dei bambini piccoli non sono sufficientemente sensibilizzati, aspettando così troppo prima di allarmare la famiglia affinché il bambino sia indirizzato ad uno specialista. La diagnosi,  precoce è, quindi,  appannaggio di specialisti attenti, poiché i primi indicatori affidabili concernono soprattutto anomalie qualitative talvolta molto lievi del comportamento sociale. Non esiste un metodo sufficientemente affidabile precoce che possa venir utilizzato da professionisti non sufficientemente formati in autismo. Per più di un quinquennio, nel pubblico, mi sono occupato di bambini nati pre-temine (esiste un rapporto di correlazione significativo tra nascita pre-temine ed autismo) e di bambini che avevano un fratellino o una sorellina con un disturbo dello spettro autistico ( anche in questo caso esiste un stretto rapporto, c'è la probabilità del 50 per cento che un bambino possa essere autistico se ha un fratello o una sorella autistica). Ho visto questi bambini accompagnati dai loro genitori dall'età di tre mesi circa fino al conseguimento del secondo anno di vita a cadenza mensile. Perché fino ai due anni di età? A livello neurobiologico a quest'età la maturazione cerebrale è per il 50 per cento completata. L'altro cinquanta per cento si svilupperà entro un arco di tempo che va dai due ai dodici anni. In effetti, a livello neurobiologico, un bambino di due anni è già "vecchio".  Tutto questo lavoro di prevenzione è stato possibile attraverso l'uso di una tecnica - attualmente utilizzata per la formazione degli psicanalisti infantili alla Tavistock clinic di Londra - che prende il nome "infant observation". Allo stato attuale non c'è altro modo per fare una valutazione precoce al rischio autismo, non ci sono altre modalità: non ci sono  bio-marcatori , nessuna analisi del sangue, tac ...o tecniche di neuroimaging che possa aiutarci in questo. Ci si affida all'osservazione di quei segni che si presentano nell'interazione , l'esperto è quindi interessato a tutto ciò che comprensibilmente è  parte della semiotica interattiva. Nemmeno un approccio  puramente psichiatrico ci può aiutare, che è vero che osserva i segni ma fuori da una semiotica interattiva. La prevenzione al rischio autismo è già una realtà in altri paesi europei come ad esempio in Francia, al dipartimento di Maine et- Loire. Le équipe di psichiatria infantile, al dipartimento di Maine et- Loire, da più di qualche decennio,  hanno dato il via a una dinamica di formazione su diversi livelli: 1. una formazione specifica sull'autismo, la relativa psicopatologia e le modalità di assistenza da parte delle Strutture; 2 una formazione sui bambini, così da poter accogliere e assistere bambini con difficoltà di interazione; 3. una formazione sul metodo dell'osservazione diretta (infant observation), così come è stato proposto da E. Bick, da offrire a medici e paramedici volontari di diverse équipe del dipartimento che accoglie bambini autistici. In parallelo, è stata realizzata una campagna di sensibilizzazione alla pediatria presso medici e paramedici di psichiatria infantile da parte dei pediatri del CAMSP, di neuropediatria, genetica, neonatologia ecc. La prevenzione al rischio autismo si può fare, basta che le Asl si attrezzino e che soprattutto l'opinione pubblica venga sensibilizzata, acquisendo maggiore consapevolezza. Un caro saluto a tutti!
Il contributo della psicoterapia ai disturbi dello spettro autistico L'impostazione della ricerca in psicoterapia è profondamente mutata in questi ultimi anni: superando la vecchia dicotomia tra ricerca sul risultato o sul processo, è diventata una “ricerca sui processi di cambiamento” che mira ad “identificare, descrivere, spiegare e prevedere gli effetti dei pro- cessi che sono all'origine del cambiamento terapeutico” (Greenberg, 1986). Si è quindi passati dalla domanda: la psicoterapia è efficace? alle domande come, perché ed in quali condizioni una psicoterapia è efficace. Per riuscire a rispondere ad esse è necessario chiamare in gioco molti fattori, come evidenzia anche l'American Psychological Association (APA, 2005): il paziente, il terapeuta, la loro interazione. È necessario inoltre prestare attenzione alla cronologia dei cambiamenti, considerare una serie di mediatori capaci di incidere sul processo in atto ed infine utilizzare, al momento della valutazione dei risultati della psicoterapia, approcci individualizzati e qualitativi. Il confronto continuo e la collaborazione tra clinici e ricercatori è elemento fondante ed imprescindibile. In questi ultimi anni, all'interno dei progetti di ricerca, vi è stata l'introduzione su larga scala di studi naturalistici ed osservativi. In questo ambito lo studio che rappresenta di più questo cambiamento è quello condotto dall'Istituto Nazionale Francese di Ricerca per la Salute e la Medicina (INSERM). Questo istituto pubblico dal 2008 ha la responsabilità del coordinamento strategico, scientifico ed operativo della ricerca biomedica francese sotto l'autorità congiunta del Ministero della Salute, del Ministero della Ricerca e in partnership con team e laboratori di ricerca di altre nazioni europee. Il progetto di ricerca approvato dall'INSERM, è nato su proposta della CIPPA (Coordinamento Internazionale degli Psicoterapeuti e Psicoanalisti che si occupano di persone con autismo) e coordinato da Golse, Haag e Bar- thélémy con la collaborazione di Falissard, Thurin e Thurin per la metodologia e il rapporto con i ricercatori. È stato avviato in Francia nel 2008, si è poi esteso anche ad altri paesi europei e nel 2009 l'Italia è entrata a farne parte. Il gruppo italiano è formato da 28 psicoterapeuti appartenenti a differenti associazioni psicoanalitiche (AIPPI, CSMH-AMHPPIA, ASNE- SIPSIA, ASP, CISPP, CSA, SPI), distribuiti dal Nord al Sud dell'Italia (per approfondimenti vedi: autismoricercainserm.wordpress.com). L'obiettivo del progetto è verificare l'efficacia o meno della psicoterapia, di diversi orientamenti, con bambini e adolescenti con autismo, misurandone gli esiti e il processo che li ha generati, valutando non solo il terapeuta, il paziente e la loro relazione ma anche gli elementi del contesto capaci di esercitare un'influenza: la scuola, i servizi, l'ambito familiare, la storia personale e familiare. Sono stati a tal fine utilizzati diversi strumenti (vedi tabella). La ricerca si compone di studi basati su casi singoli (single case design; Kazdin, 2010) seguendo un protocollo di studio per il periodo di un anno in cui il clinico svolge la psicoterapia nelle consuete condizioni. I dati vengono raccolti in 4 tempi: all'inizio, a 2, 6 e 12 mesi. Focus dell'indagine sono i cambiamenti, o meno, nel bambino e nel processo interno della psicoterapia: in sostanza tutto ciò che caratterizza il paziente e i suoi problemi, il terapeuta e la sua tecnica, e la loro interazione durante la terapia. Le quotazioni degli strumenti vengono fatte dal clinico e dal gruppo prima individualmente e poi, attraverso una discussione, si arriva ad una valutazione condivisa. La procedura d'accordo inter-giudici è stata validata da uno studio pilota iniziale (Briffault et al., 2007). Strumenti della ricerca INSERM Scala dei comportamenti autistici (ECAR-T; Barthélémy et al. 1997; Lelord-Barthélémy 2003). È una scala che permette di misurare l'andamento dei comportamenti autistici in generale e secondo due dimensioni specifiche, deficit relazionale e modulazione emotiva. Scala di Valutazione Psicodinamica dei Cambiamenti nell'Autismo (EPCA; Haag et al. 2010). Misura gli stadi evolutivi dell'autismo, la patologia, lo sviluppo e le principali acquisizioni che lo accompagnano secondo 8 dimensioni: l'espressione delle emozioni nelle relazioni, lo sguardo e la sua qualità, l'immagine del corpo, il linguaggio verbale, le capacità grafiche, l'esplorazione dello spazio e degli oggetti, lo sviluppo del concetto del tempo, le manifestazioni legate all'aggressività. Questionario di Processo Psicoterapeutico nel Bambino (CPQ; Child Psychotherapy Q-set; Schneider e Jones 2006) che permette di descrivere il processo interno alla psicoterapia per quanto riguarda il paziente, il terapeuta e la loro interazione. I primi risultati già pubblicati, relativi a 50 casi, indicano che la psicoterapia svolta da clinici formati nel campo dell'autismo e che lavorano in un'ottica di apertura con l'esterno e con la famiglia, produce alcuni cambiamenti statisticamente significativi (Thurin, 2014), soprattutto nella iniziativa di interazione sociale, nell'igiene personale, nel linguaggio e nell'espressione grafica. Miglioramenti, ma non statisticamente significativi, sono stati rilevati anche nelle abilità di gioco simbolico, nella nozione di tempo lineare, nella tolleranza alla separazione e in un minore ricorso alla stereotipia. I progressi migliori si collocano invece nelle fasce di età inferiori, in sintonia con la letteratura esistente. Per quello che riguarda invece i meccanismi di azione della psicoterapia si evidenza come siano potenziali agenti di cambiamento: l'adattamento del terapeuta al livello del bambino, il suo atteggiamento proattivo, il contenimento affettivo, la verbalizzazione degli affetti. L'approccio messo in atto dal terapeuta, inoltre, sembra essere influenzato per una parte importante dalle possibilità che sono offerte dal tipo di fun zionamento del bambino.

QUALE PSICOTERAPIA PER MIA/MIO FIGLIA/O?

Molti genitori si chiedono come scegliere uno psicoterapeuta per il loro figlio. Si chiedono, dunque, come fare una scelta consapevole e di qualità. Prima di rispondere alla domanda, vorrei fare una breve premessa che può risultare propedeutica alla risposta. In psicologia, diversamente da alcune ed altre discipline, tra cui la stessa medicina, esiste un vuoto normativo che spero venga al più presto affrontato e sanato innanzitutto dall'ordine degli psicologi. Nello specifico, non esiste una norma che disciplina - e ovviamente considera eventuali sanzioni a chi la infrange - che chi si forma per svolgere una psicoterapia, ad esempio con bambini, deve rimanere ancorato, obbligatoriamente, a questa scelta ( a meno che non abbia anche una formazione per gli adulti) e chi , viceversa, si forma per svolgere una psicoterapia con gli adulti deve fare allo stesso modo. Purtroppo, a causa di questa mancanza, oggi, tutti possono fare tutto! Questa distinzione che metto in evidenza , anche se non sottoposta a nessuna normativa, nella sostanza c'è e nella pratica è pienamente condivisibile per il semplice e non trascurabile motivo che una psicoterapia infantile é diversa da quella che si rivolge agli adulti : nella tecnica , nella teoria e soprattutto nella clinica. Le differenze, dunque, sono sostanziali e non formali. Per rendere meglio l'idea, preferisco fare qualche esempio: e come se per mio figlio che ha un problema di salute mi rivolgessi ad un medico generico piuttosto che ad un pediatra; oppure , continuando con qualche esempio ancora, e come se io per un problema cardiaco mi rivolgessi ad un ortopedico e così via. Gli esempi che potrei fare sono innumerevoli ma penso che questi pochi fatti possano rendere bene il concetto. Fintantoché la questione non verrà affrontata, il rischio di non trovare adeguate risposte al disagio è ovviamente alto. Allora, alla domanda dei genitori "quale psicoterapeuta per mio figlio? Rispondo: bisogna chiedere al professionista a cui ci si rivolge se ha una specializzazione per i bambini e se risultasse evasivo in tal senso chiedere di esibire il titolo. Inoltre se io fossi il papà o la mamma del bambino / a chiederei qualcosa in più al professionista, per avere maggiori garanzie, senza farmi il problema di essere troppo sfacciato, di sapere se si è sottoposto ad un analisi personale prima di intraprendere questo DELICATISSIMO lavoro poiché la mente del terapeuta non è assolutissimamente un aspetto da sottovalutare. Spero di aver risposto alla vostra domanda ma qualora aveste qualche dubbio sappiate che potete contattarmi per qualsiasi ragguaglio. Saluti a tutti!

Informazioni personali

La mia foto
- Psicologo Clinico e di Comunità - Psicoanalista Infantile - Psicoterapeuta specialista in infanzia adolescenza e famiglia - Ordinario e membro del comitato scientifico dell’A.I.P.P.I. - Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile - Tavistock Clinic di Londra, membro della sezione italiana European Federation of Psychoanalytic Psychotherapy (S.I.E.F.P.P.) e dell'Associazione dei Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell'Adolescente (A.G.I.P.Ps.A) - Socio dell’ Associazione Italiana di Gruppoanalisi “Il Cerchio” C.O.I.R.A.G. - Ricercatore nell'ambito dei disturbi dello spettro autistico  presso l' A.I.P.P.I. che collabora con il C.I.P.P.A. - Coordinamento Internazionale degli psicoterapeuti e psicoanalisti che si occupano di persone con autismo, che aderisce al progetto dell' Institut National de Santé et de Recherche Médicale (INSERM) per la valutazione dell’efficacia della psicoterapia psicoanalitica su pazienti affetti da disturbi dello spettro